25 Agosto 2024 01:22

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25 Agosto 2024 01:22

Imperia: Sindaco Scajola commenta sentenza di Appello su presunta ineleggibilità. Interviene il consigliere Sardi (AVS). “Letture distorte della realtà, basate su una falsa rappresentazione del contenuto delle sentenze”

Il trionfale comunicato con cui Scajola ha annunciato di aver vinto la battaglia legale sul ricorso presentato in merito alla sua ineleggibilità per il doppio incarico di sindaco e commissario dell’Ato idrico, completa un trittico di letture distorte della realtà, basate su una falsa rappresentazione del contenuto delle sentenze”. Queste le parole del consigliere del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra Lucio Sardi a commento delle dichiarazioni del Sindaco Claudio Scajola in merito alla Sentenza della Corte di Appello sul ricorso presentato dai consiglieri comunali Ivan Bracco e Luciano Zarbano contro la sentenza con la quale il Tribunale di Imperia ha respinto il ricorso (all’epoca presentato anche dal consigliere Sardi, che ha successivamente rinunciato per per “mancanza di forza economica“) sulla presunta ineleggibilità del Sindaco di Imperia Claudio Scajola.

Imperia: Sindaco Scajola commenta sentenza di Appello su presunta ineleggibilità. Replica consigliere Sardi (AVS)

Il primo “successo” sbandierato da Scajola è stata la sentenza della corte di appello di Reggio Calabria che ha dichiarato prescritto il reato di favoreggiamento della latitanza di Matacena, per cui in primo grado era stato dichiarato colpevole e condannato a una pena di oltre due anni. Secondo Scajola, con quella sentenza di prescrizione si sarebbe dimostrata l’inconsistenza delle accuse a suo carico. Peccato che la corte di appello di Reggio Calabria non abbia accolto la richiesta di assoluzione avanzata dalla difesa di Scajola e quindi non abbia in alcun modo smentito le motivazioni della sua condanna in primo grado riconoscendogli solo il beneficio (a cui Scajola non ha voluto rinunciare) della prescrizione del reato.

Il suo secondo “trionfo” giudiziario per Scajola sarebbe stato ottenuto con la incredibile sentenza “pilatesca” del Tar della Liguria che ha respinto il ricorso sull’aumento retroattivo delle tariffe idriche in quanto le ha ritenute ancora non legittime per la mancata approvazione di Arera e come tali non “giudicabili”.
Un equilibrismo giuridico con cui il Tar ha di fatto deciso di non dichiarare illegittima una tariffa in quanto la stessa non sarebbe stata di fatto ancora approvata e quindi per logica (ma non per il Tar) evidentemente illegittima. Per Scajola questa “mirabile” motivazione sarebbe la conferma della correttezza del suo operato di commissario dell’Ato idrico, che secondo lui evidentemente è approvare ed applicare tariffe retroattive senza che queste siano state approvate dall’organismo tenuto a riconoscerne la validità.
Un triplo salto mortale giuridico finito male, per cui però l’osso del collo ce lo rimettono i cittadini e le imprese chiamate a pagare il prezzo di errori e ritardi del passato causati in gran parte da chi oggi si presenta a incassare senza neanche averne pieno titolo.

Siccome il detto “non c’è il due senza il tre” è tanto banale quanto profetico, è ora arrivata la sentenza della corte di appello di Genova che ha giudicato nulla quella di primo grado (con conseguente azzeramento del procedimento) sul ricorso presentato da alcuni consiglieri di minoranza per il riconoscimento dell’incompatibilità per Scajola del doppio ruolo di sindaco e commissario dell’Ato idrico.

La decisione della corte di appello non è motivata dal fatto che è stata dimostrata l’infondatezza dei rilievi mossi da chi contestava l’incompatibilità dei due incarichi in capo a Scajola, ma dal “cavillo” della asserita mancata chiamata in causa di Scajola nel processo come persona invece che come sindaco.
Quel collegio giudicante non ha ritenuto di verificare se si siano manifestate situazioni in cui lo Scajola commissario abbia effettuato scelte che riguardavano anche lo Scajola sindaco (come messo in evidenza dalla Corte dei Conti nel caso della delibera sull’ingresso in Rivieracqua del Comune di Imperia) e quindi se è provato o meno quel conflitto di competenze da cui deriva per legge l’incompatibilità tra le due cariche.

La questione essenziale per la corte d’appello è la capziosa questione procedurale secondo cui aver chiamato in causa Scajola definendolo sindaco e non in quanto semplice cittadino, renda nullo il ricorso (a cui Scajola ha partecipato quale sindaco definendosi invece assente quale “Claudio”), valutazione che ha di fatto impedito che si discutesse sul merito.
Un classico esempio della abissale distanza tra il concetto di giustizia e il vuoto rito di un sistema giudiziario dove la forma assume valore dirimente e spesso trasforma i tribunali nel luogo in cui viene negato il diritto a ottenere un pronunciamento che si basi sulla realtà dei fatti.
Ma questo è un sentimento che possono provare i cittadini poco avvezzi al rito della giustizia italiana, in cui si muovono con disinvoltura gli esperti fruitori degli strumenti che nel nostro paese garantiscono certe “vittorie” giudiziarie. Ovvero quelli che cantano vittoria per una prescrizione o per sentenze che sfuggono alla decisione sui fatti sulla base di formalismi giuridici o procedurali.

In questo contesto non resta che appellarsi alla forza evocativa della letteratura e dire, da cittadini, che se “esiste un giudice a Berlino”, questo fatto, però, non sembra confermato dalle nostre parti.
Il tutto mentre di fronte a noi appare l’immagine trionfante di Scajola che declama “il mio regno per un cavillo!”.

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