Di Andrea Pomati
In questi giorni abbiamo assistito a una commedia tragicomica, in salsa agrodolce ponentina, che ha finito in qualche modo per danneggiare tutti i protagonisti. Da un lato il Commissario dell’Ato idrico Claudio Scajola, che mostra i muscoli e manda le “sue truppe corazzate” all’assalto del piccolo Consorzio irriguo e potabile di Cipressa e Costarainera. E dall’altro lato i soci del Consorzio, guidato da un datato Presidente, barricati all’interno del loro “fortino”, pronti a resistere fino alla fine, come novelli eroi di Alamo. Con la differenza che qui non siamo in Texas e nemmeno nel 1836. E questa volta, almeno per ora, Alamo non è caduto. E Claudio Scajola, alla fine, ma solo alla fine (e non sarà nemmeno la fine), ha fatto quello che, forse, anzi, sicuramente, sarebbe stato meglio fare fin dall’inizio: convocare tutte le parti attorno a un tavolo e dialogare.
Non spetta a noi cronisti individuare le ragioni o i torti, ancor più in una complessa vicenda, con diversi aspetti giuridici in ballo, come questa, ma, dopo due mattine, di cui una sotto la pioggia, passate ad assistere a un teatrino, inevitabilmente finito alla ribalta delle cronache, non solo locali, si impongono delle riflessioni.
Tutto inizia con un’improvviso calo della fornitura idrica che il Consorzio garantisce ai comuni di Cipressa e Costarainera. Che cosa è successo? Non lo abbiamo ancora capito, ma il fatto che da anni ci sia un contenzioso aperto fra Consorzio e Rivieracqua e il fatto che questa non paghi le fatture al Consorzio proprio per quella fornitura di acqua, lascia spazio a cattivi pensieri. Anche perché, come diceva Andreotti, che certo sprovveduto non era, “a pensar male si fa peccato, ma molte volte non si sbaglia”.
Il secondo passaggio è quello del Presidente dell’Ato idrico Claudio Scajola, che perde le staffe. Una reazione che possiamo riassumere così: manca l’acqua? Basta, prendiamo il Consorzio e lo diamo a Rivieracqua! E qui inizia il tragicomico braccio di ferro. Eh già, perché anche uno studente del primo anno di Giurisprudenza sa che, senza un atto di esproprio o un ordine di un giudice, non si può nemmeno pensare di entrare in una proprietà privata e prenderne possesso. Anche se di mezzo c’è un bene prezioso come l’acqua. Ma non è tutto. La Polizia Provinciale non può, come del resto non può manco la “Forza pubblica” evocata da Scajola, eseguire sequestri o prese di possesso che dir si voglia, senza gli atti di cui parlavamo prima. O senza che si verifichino situazioni ben precise, facilmente ritrovabili, sfogliando il Codice di Procedura Penale oppure quello di Procedura Civile.
E così si arriva alla prima figuraccia di venerdì mattina e poi alla seconda figuraccia di ieri mattina, con Rivieracqua e Polizia provinciale che restano fuori dai cancelli della sede del Consorzio – Forte Alamo, in via Vignasse a San Lorenzo al Mare e alla fine sono costretti a girare i tacchi e tornare a casa, come si suol dire, “con le pive nel sacco”.
C’è poi l’aspetto politico, che, visto il periodo di campagna elettorale per le Regionali, non si può sottacere. Claudio Scajola in questa occasione sembra, infatti, aver gettato alle ortiche gli insegnamenti della Balena Bianca, vale a dire la vecchia Democrazia Cristiana di cui egli fu esponente e che mai avrebbe consentito di scatenare un simile caos nel pieno delle elezioni – regalando un formidabile assist all’avversario, Andrea Orlando, messosi a muso duro davanti alla Polizia provinciale – per giunta senza portare a casa un risultato.
Claudio Scajola si riavvicina a Forza Italia, sostiene apertamente la candidatura di Marco Bucci alla presidenza della Regione Liguria e non riflette nemmeno un attimo sui devastanti effetti politici dei fatti delle ultime ore? Non immaginava che, come è successo, l’avversario di Centrosinistra Andrea Orlando e una riga di suoi candidati si sarebbero presentati al Consorzio, trasformandosi in “paladini degli oppressi”? Si dirà, lo ha fatto per difendere l’acqua pubblica, al di là della politica. Si può anche dire, ma non regge lo stesso.
Come non regge nemmeno il fatto che nessun candidato del Centrodestra (almeno per quanto giunto finora in redazione) abbia cercato di salvare il salvabile, intervenendo almeno per provare a gettare acqua (sic!) sul fuoco. A proposito, inutile farlo oggi.
Per chiudere: al di là di come andrà a finire questa storia, quasi tutti ne escono con le ossa più o meno rotte e, giusto o no che sia, si rafforza quella sensazione di distanza fra gente comune e Istituzioni, fra persone normali e “persone di potere”. E questo, di nuovo, non fa bene a nessuno.
L’unico che pare esserne uscito bene, oltre al Prefetto, che si è ben guardato dall’accondiscendere a richieste che esulano dal suo ruolo, è il gestore di un bar di via Vignasse a San Lorenzo: in una mattinata autunnale piovosa come quella di ieri, mai si sarebbe sognato di fare così tanti caffè e finire tutte le brioche già alle 10. Ma questa è un’altra storia.