Un mese in India, a Calcutta, per prestare servizio di volontariato presso le strutture gestite dalle Missionarie della Carità, l’ordine fondato nel 1950 da Madre Teresa di Calcutta, dove le suore accolgono da anni centinaia di persone, dai bambini agli anziani, gli “ultimi” della società, salvandoli dalla strada e dalla miseria, restituendo loro la dignità. È questa l’esperienza che sta vivendo Gaia Ammirati, giornalista imperiese, che racconta direttamente dall’altra parte del mondo.
Come sei venuta a conoscenza del volontariato a Calcutta?
“Lo scorso anno ho fatto la mia prima esperienza qui, sempre lunga un mese, in compagnia di Susanna Bernoldi, storica volontaria Aifo, con esperienze di questo tipo in tutto il mondo. Le avevo chiesto di vivere un’esperienza insieme e quando mi ha parlato di Calcutta è scattato un “click”. Così siamo partite. È stata un’esperienza incredibile che mi ha segnata e quest’anno ho deciso di tornare da sola“.
Come funziona il volontariato?
“Poichè le suore non provvedono a vitto e alloggio non è necessario prenotare o annunciarsi. Chi desidera fare volontariato può semplicemente presentarsi alla Casa Madre ed effettuare la registrazione, lasciando le proprie generalità e specificando il periodo in cui si intende prestare servizio. Le suore accettano tutti con grande gratitudine ed entusiasmo, non chiedono mai il proprio credo o la propria fede. Sono tutti i benvenuti. Ognuno provvede autonomamente a cercarsi un alloggio e io ho optato per un letto in dormitorio in un ostello, il BMS, dove pernottano gran parte dei volontari, quindi mi ha permesso di creare subito legami”.
Dove si fa volontariato?
“Ci sono diverse strutture gestite dalle Missionarie sparse per la città di Calcutta, ognuna accoglie ospiti con diverse problematiche e difficoltà. In tutte le case le volontarie lavorano nel reparto femminile e i volontari uomini in quello maschile, andando a supportare il lavoro dei dipendenti delle suore. La prima aperta da Madre Teresa è “Nirmal Hriday, Kalighat”, la casa dove si trovano i malati e le persone in fin di vita. A Shishu Bhavan ci sono i bambini orfani o abbandonati, bambini con disabilità, denutriti o malati. Qui da alcuni anni non sono accettati volontari. A Dayadan ci sono bambini un po’ più grandi, con le stesse problematiche. A Prem Dan ci sono persone dai 30 anni in su con disabilità mentali e fisiche, infine a Shanti Dan, dove sono stata assegnata io, ci sono le donne dai 18 ai 30 anni con disabilità mentali e fisiche”.
Come si svolge una giornata tipica?
“La sveglia dei volontari suona presto per chi desidera partecipare alla messa delle 6 alla Casa Madre, la sede delle Missionarie. Io personalmente, sebbene non sia credente, partecipo spesso perchè si crea un’atmosfera speciale che va oltre l’aspetto religioso. Dopodichè le suore, le “sisters”, offrono la colazione a tutti i volontari, che consiste in pane, marmellata, banane e tè Chai. Questo momento è importantissimo, di grande aggregazione e condivisione. Ogni giorno arrivano nuovi volontari da ogni parte del mondo, ognuno con la propria storia e il proprio bagaglio di esperienze che li ha portati qui. C’è chi sta qualche giorno, chi un mese chi molto di più. Ognuno porta qualcosa e prende molto di più, un’esperienza che rimarrà nel profondo della propria identità.
Finito il momento della colazione, Sister Mercy, che gestisce la Casa Madre, fa le comunicazioni del giorno, dà il benvenuto a eventuali nuovi volontari e il saluto collettivo a chi invece si trova all’ultimo giorno di volontariato. Dopodichè, ci si divide in gruppi e ci si dirige verso la casa a cui si è stati assegnati, solitamente in bus. Attraversare la città non è un’esperienza da sottovalutare. Il traffico sembra completamente senza regole: auto, moto, tuc tuc, bus, camion, carretti, risciò vanno da tutte le parti, superando a destra e a sinistra, senza mai dare la precedenza ai pedoni e suonando costantemente il clacson. Sembra una follia, ma in un modo o nell’altro, non ho mai assistito a un incidente stradale. All’arrivo alla propria struttura di appartenenza, si inizia il servizio, solitamente dalle 8/8.30 alle 12.30/13″.
Cosa prevede il servizio di volontariato?
“Tutto quello che può essere utile. Solitamente: rifare i letti, fare il bucato, stendere i panni, selezionare le medicine su indicazione dell’infermiera, assistere il fisioterapista, accompagnare le ospiti in bagno, cambiarle se si sporcano, imboccarle per merenda e per il pranzo. Nei momenti in cui non si hanno compiti specifici da fare, c’è la parte più bella: stare in compagnia delle ospiti.
A Shanti Dan, in particolare, sono 50 le ragazze che si trovano nella sezione dove presto servizio io. Con molte di loro, tra lo scorso anno e quest’anno, si è creato un legame davvero speciale.
Puja, Pampa, Cicilia, Gurja, Mangala, Rani, Shakina, Rinku, Tanuja, Mithu... sono solo alcune delle ragazze con cui ho stretto amicizia. Quasi tutte sono sulla sedia a rotelle, alcune non parlano, ma si fanno capire. Altre, invece, conoscono bene l’inglese (la loro lingua madre è il bengali). Sebbene parlino con fatica, questo non ci impedisce di comunicare molto, scherziamo, giochiamo. È un’esperienza unica, preziosissima. Non è sempre facile perchè le immagini che appaiono davanti agli occhi sono spesso di difficoltà e sofferenza, ma è impossibile non desiderare di tornare. Le strutture gestite dalle suore sono come un fiore nel deserto, una salvezza dalla durissima condizione in cui vivono milioni di persone. Condizione che va in contrasto rispetto a quella, incomparabilmente molto più agiata, di una più piccola percentuale di popolazione“.
Cosa si fa il resto della giornata?
“Terminato il servizio al mattino ognuno è libero. Di solito si torna in ostello a farsi una doccia (indispensabile perchè le temperatura e l’umidità sono molto alte) e poi chi lo desidera può fare servizio al pomeriggio a Kaligath. Se no si è liberi e si può andare a esplorare la città. Calcutta è immensa, caotica, piena di smog, sporcizia e animali randagi. Ci sono migliaia di persone, intere famiglie, che vivono sui marciapiedi, ai margini della società, e questo è molto difficile da accettare. Ma è anche ricchissima di bellezza, luoghi meravigliosi da visitare, templi, giardini, musei, ma soprattutto persone. Camminando per le strade si incontrano tutti i mestieri che consideriamo di ‘un’altra epoca’, dal lustra scarpe sul marciapiede al dattilografo che con la sua macchina da scrivere trascrive su dettatura le lettere davanti alle poste per chi è analfabeta. Si fanno incontri speciali, incredibili. Mi piace raccontare le storie delle persone che incontro sul mio blog e sulle mie pagine social, per chi non può venire a vivere questa esperienza in prima persona (qui il link, ndr)”.
Pensi di tornare?
“Sì, senza dubbio. Per quanto dura, dolorosa, intensa e potente sia l’esperienza qui, trovandosi spesso di fronte a una miseria degradante, l’esperienza di volontariato arricchisce l’anima e non basta mai. Ricevi molto di più di quel piccolo aiuto che dai. È vita pura”.
A cura di Alessandro Moschi