28 Ottobre 2024 09:42

Cerca
Close this search box.

28 Ottobre 2024 09:42

Da Imperia ad Hanoi: l’incontro in Vietnam con Christian Lavernier, tra concerti e masterclass. “La musica per me è un linguaggio ed è in continua evoluzione, anche attraverso l’intelligenza artificiale” / Foto e video

Incontrare un artista come Christian Lavernier è già di per sé straordinario, ma farlo ad Hanoi, in Vietnam, aggiunge un fascino unico e irripetibile. Lavernier, chitarrista e compositore di fama internazionale, originario di Imperia, si è recentemente esibito in tre concerti nella capitale vietnamita, oltre a tenere masterclass al Conservatorio Internazionale di Hanoi.

Grazie a una coincidenza molto fortunata, ho avuto la possibilità di incontrarlo sul posto, per una speciale intervista lungo i binari del famoso e suggestivo treno che scivola a pochi centimetri dalle case e dai negozi.

Lavernier ha alle spalle una lunga carriera che lo ha visto esibirsi nei teatri più prestigiosi di tutto il mondo. Diplomato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, ha affinato la sua tecnica sotto la guida di maestri come Angelo Gilardino, Alirio Diaz e David Russell. Oltre alla sua carriera concertistica, Lavernier ha tenuto masterclass in diverse istituzioni internazionali e ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali, tra gli altri il Concorso Internazionale Johannes Brahms, il Concorso Internazionale Francesco Forgione, il Concorso Nazionale Isole Borromee e il Concorso Internazionale Paul Harris. Inoltre, dal 2016 è direttore artistico del Concorso Internazionale di Esecuzione Musicale Rovere D’Oro e Giovani Talenti.

L’intervista ad Hanoi è stata l’occasione per parlare anche del suo nuovo progetto, “Wolf 1069”, nato dalla collaborazione con l’artista francese Jacopo Baboni Schilingi. Questo innovativo lavoro mescola la musica con le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale, spingendo i confini della creazione musicale tradizionale. “La Soñada”, uno strumento unico al mondo con 11 corde, costruito per lui dal liutaio Carlos Gonzalez, è al centro di questo progetto.

L’intervista a Christian Lavernier ad Hanoi

Ci troviamo con Christian Lavernier in un posto un po’ diverso dal solito, non siamo a Imperia, ma ad Hanoi in Vietnam. Ci racconti cosa ci fa qui Christian Lavernier?

“Innanzitutto per me è davvero bellissimo fare questa intervista qui in Vietnam: raramente ci incontriamo a Imperia, ma riusciamo a incontrarci dall’altra parte del mondo. Mi trovo qui perché sono stato chiamato per una serie di concerti e masterclass al Conservatorio Internazionale di Hanoi. È stata un’esperienza bellissima, ho trovato dei ragazzi molto motivati, pieni di entusiasmo, con una voglia di suonare incredibile. Mi hanno trasferito la loro energia. È anche successa una cosa stupenda: durante il concerto in teatro, un signore nel pubblico disegnava mentre io stavo suonando, tratteggiando con una penna digitale sul suo telefono quello che stava accadendo sul palco. Questo episodio mi ha fatto molto riflettere perché mi ha fatto pensare a quanto siamo fortunati a fare questo lavoro, che per me non è un lavoro. Dico sempre: il giorno che diventa un lavoro smetto. È stato veramente incredibile poter vivere tutto questo. Trovo il Vietnam un posto fantastico, con persone che hanno una sensibilità molto particolare. Anche artisticamente ho avuto modo di parlare con diversi artisti qui; è un mondo in movimento, che si sta muovendo verso qualcosa di molto innovativo“.

Da Imperia ad Hanoi, in mezzo c’è un mondo, una vita dedicata alla musica. Puoi raccontarci com’è stato il tuo percorso?

“Credo che sia la musica in qualche modo che mi abbia indicato questo percorso. Fare musica è sempre stata un’esigenza per me, non riesco a immaginare la mia vita senza. Sono sempre stato molto fortunato perché non ho mai dovuto scegliere nulla; non si è mai trattato, per esempio, se fare o non fare questa cosa. Ho avuto la possibilità di studiare prima al Conservatorio di Milano poi a Vienna, è stato molto importante. Quando avevo 9 anni ho iniziato a giocare coi suoni, senza neanche sapere bene che cosa stavo facendo. Adesso ne ho 45 e continuo a giocare, non è cambiato nulla. Ho sempre agito per un’esigenza fisica. Mi capita a volte di avere qualche linea di febbre, magari di non poter suonare per alcuni giorni e mi manca qualcosa. Questo capita più con strumenti come violoncello o chitarra, strumenti che hanno un contatto fisico. Il pianista è un po’ distante dallo strumento, però con strumenti come questi ti manca proprio una parte di te che esiste in un’altra forma. Non ho mai preso una decisione, ho solamente pensato di fare qualcosa che mi rendesse felice e poi, piano piano, le cose sono avvenute in modo anche non richiesto. Ancora oggi, nella scelta delle musiche che faccio, il repertorio è cambiato molte volte. Se ascolto un disco che ho fatto qualche anno fa, ci ritrovo dentro una persona che ho conosciuto molto bene, che sono io, ma che è cambiata in qualche modo e mi fa piacere che non sia rimasta com’era 15 anni fa, questo sarebbe stato negativo dal mio punto di vista. Ancora oggi le sperimentazioni, anche le cose nuove che sto facendo, derivano da questo: chiedermi qual è il possibile cambiamento della mia musica nel futuro. Spero sempre che ci sia”.

Hai avuto nella tua carriera tantissime soddisfazioni, dalla collaborazione con Ennio Morricone ai premi che hai vinto. Quali sono le tappe che ti hanno dato più soddisfazione?

“Devo dirti la verità, non c’è mai stato un punto dove ho detto ‘ok, questo è un punto di arrivo dove sono felice’. Anche perché poi, normalmente, quando succedono queste cose sei in un frullatore e non ti rendi neanche conto. Molte volte faccio fatica a godermi le cose, godere di un posto, di un concerto fatto, perché dopo ce n’è un altro. Il signore che mi ha ritratto mi ha fatto venire in mente che ogni tanto è necessario fermarsi un attimo e anche vedere le cose intorno. Ricordo benissimo di essere stato a casa di Morricone, seduto a fianco a lui, a sentire parlare di un pezzo di storia della musica. Sono tutte soddisfazioni incredibili che non avrei mai pensato di vivere nella mia vita. Però, nel momento in cui ci sono stato, pensavo a come poter andare avanti per fare certe cose. Ad esempio, “Aria” è un disco dove io, per la prima volta, suono con la sonorità della mia musica, ed è nato dopo aver avuto la possibilità di chiacchierare con Morricone e di come lui abbia iniziato a scrivere la sua musica. È stato tutto così veloce che non me ne sono accorto. Una cosa che mi fa molto riflettere e che è significativa per la mia carriera è l’incontro con le persone, in particolare con le persone che lavorano dentro al teatro perché mi fanno riflettere anche su quello che ho vissuto. Il fatto di essere qui con te a fare un’intervista, quando facciamo molta fatica a incontrarci a Imperia, è una cosa che mi fa molto riflettere. La musica è un mezzo per vivere queste cose, un veicolo, un linguaggio. Ho sempre avuto la necessità di comunicare e penso che sia questo che mi ha portato poi a fare quello che faccio nella vita. Probabilmente non potrei vivere senza comunicare qualcosa, mi verrebbe difficile”.

Tu sei in possesso di uno strumento unico, particolarissimo, di cosa si tratta?

“Sì, la Soñada è uno strumento unico al mondo, ne esistono solo due esemplari: uno è mio possesso, l’altro è nel Museo degli Strumenti Musicali di Almeria, costruiti da un lutaio che si chiama Carlos Gonzalez. Molto brevemente, io facevo un concerto a Linares, vicino Granada, al Festival Andres Segovia, un festival molto importante per la chitarra a sei corde, e alla fine del concerto venne Carlos e iniziammo a chiacchierare davanti a una birra ghiacciata, come si fa di solito in questi casi. Lui iniziò a parlarmi dei limiti di uno strumento, dei limiti di un repertorio, dei limiti di un musicista, dei limiti in generale. Ci salutammo, lui tornò ad Almeria dove vive, io a Parigi. Dopo un anno mi invitarono in un altro festival a Haen, vicino Linares, e lui venne dopo il mio concerto e mi disse: ‘Tieni, questo è quello di cui avevamo parlato un anno fa’ e mi consegnò la Soñada, che è uno strumento a 11 corde, sette corde tastate e quattro corde libere, che non ha un repertorio vero. Uno strumento esiste se esiste una letteratura che lo presenti, se no non esiste. Avrei potuto scrivere la mia musica, ma inizialmente volevo che fossero altri compositori a farlo perché ero emotivamente coinvolto. Da lì iniziai a mandare alcuni grandi compositori come Azio Corghi, Josè Saramago, lo stesso Morricone. Iniziai a contattare dei grossi compositori che iniziarono a interessarsi a questo strumento. Questo successe nel 2017 e oggi, nel 2024, abbiamo circa 6 ore di repertorio originale scritto per questo strumento e pubblicato, e dei dischi, uno con introduzione nel 2019 del Maestro Morricone. È stato incredibile perché lo strumento ha iniziato a vivere e da lì siamo riusciti a scoprire anche delle cose che io pensavo impossibili dentro uno strumento e che invece oggi sappiamo possibili. Mentre nella chitarra tradizionale a sei corde ci sono circa 700 anni di storia prima di me, più tutti i musicisti che oggi la suonano straordinariamente, nella Soñada non ho un termine di paragone perché è ancora in una fase magmatica. Io ho introdotto l’uso dell’arco da violoncello sullo strumento. Certo, avrei potuto fare le Suites di Bach senza trascrizione, per i musicisti che ci ascoltano, però sarebbe stato meno interessante perché esistono dei musicisti che lo fanno molto meglio di me. Invece, la prima idea che mi è venuta toccando lo strumento è stata quella di prendere questo strumento impacchettarlo e mandarlo nel futuro per suonare la musica che non c’era ancora e anche la musica che io non conoscevo. Questo è stata l’idea della Soñada”.

Da qui è nato un progetto che si chiama Wolf 1069, che unisce la musica con l’intelligenza artificiale. Di cosa si tratta?

Wolf 1069 nasce con Jacopo Baboni Schilingi, che è un compositore straordinario, è stato assistente di Luciano Berio e di Pierre Boulez, è una persona che si è occupata molto di innovazione tecnologica nella musica. Con lui abbiamo pensato di creare un’opera dove la Soñada, che è uno strumento di legno, interagisse con un’intelligenza artificiale, creando un software che permette l’interazione tra lo strumento fisico con il musicista che lo suona e i movimenti delle mani di Jacopo che catturano dei suoni dalla Soñada e li possono manipolare in tempo reale. Questo è stato un po’ il salto di specie. Il titolo Wolf 1069 deriva dal nome di un esopianeta che sta a 31 anni luce da noi, quindi dietro l’angolo da un punto di vista intergalattico, e ha delle caratteristiche molto simili a quelle della Terra. Lo abbiamo immaginato come un vero e proprio viaggio dove lasciamo delle cose di cui abbiamo una certa sicurezza e che ci hanno accompagnato nel corso della nostra vita. Sono state importantissime, senza quelle cose noi non saremmo qui a discutere oggi né di Wolf né della Soñada, probabilmente neanche della musica, perché molti musicisti prima di noi hanno avuto quelle sicurezze. Però, un po’ come è stato per le Sonate di Beethoven, che sono state scritte per il forte piano, che è uno strumento totalmente diverso dal pianoforte, e oggi si suonano per pianoforte, l’innovazione tecnologica ha permesso a uno strumento di ampliarsi e di avere più possibilità. Ovviamente, non sappiamo e non abbiamo la pretesa di sapere se le cose che noi facciamo rimarranno nel tempo oppure no, probabilmente la storia spazzerà via tutto, non lo sapremo mai, perché passeranno centinaia di anni. Però è interessante il fatto di poter affrontare un nuovo modo di esprimersi utilizzando uno strumento antico ma proiettato verso il futuro come è la Soñada e l’intelligenza artificiale, quindi un’innovazione tecnologica che oggi è usata da tutti, in modo cosciente, senza dimenticare ciò che è stato fatto prima di noi nella musica. Con Jacopo ci abbiamo lavorato 2 anni e mezzo, abbiamo fatto la prima ai Fori Imperiali a Roma la settimana scorsa. Ci siamo abbracciati alla fine del concerto, è stata un’emozione incredibile perché ho detto: ‘Finalmente Wolf è vivo’. Cambierà nel corso del tempo perché è un’opera aperta. È un vero concetto di ‘opera aperta’ come l’aveva pensato Umberto Eco nel suo libro. Noi siamo sempre portati a pensare all’arte come qualcosa di chiuso, ma in realtà l’arte è l’esatto contrario di una chiusura, è sempre in movimento”.

Cosa ti aspetta adesso?

“Torno a Parigi e riparto per andare a Valencia. Dopodichè ritornerò a Parigi per un concerto di Wolf 1069 a Montbéliard, a 3 ore e mezza da Parigi, a novembre. A dicembre sarò in Giappone e in Corea, quindi sarò a Tokyo e Seul, per masterclass e concerti, questa volta con la sei corde. Sono molto grato a tutte le persone che mi seguono e anche al fatto di poter fare quello che faccio. Mi ritengo molto fortunato perché, oggettivamente, non potrei vedere la mia vita senza la musica. Però è vero che tutto questo avviene perché esiste un pubblico, esistono delle persone che ascoltano quello che facciamo e quindi dico sempre che la musica e la cultura, in generale, sono cose molto importanti, non sono il dolce a fine pasto, ma sono proteine nobili che servono per la crescita di tutti“.

Condividi questo articolo: