In un mondo dove la salute mentale è troppo spesso trascurata, Roberto Ravera, psicologo di fama internazionale, primario della Struttura Complessa di Psicologia della ASL1 Imperiese e fondatore di FHM ITALIA Onlus, si distingue per il suo impegno in Sierra Leone.
Con oltre vent’anni di esperienza, Ravera ha costruito un modello unico di supporto psicologico e riabilitazione per bambini e adolescenti vittime di traumi, abusi e disabilità mentale. Il centro Ravera Children Rehabilitation Centre, situato a Lakka, sobborgo di Freetown, rappresenta il cuore di questo progetto, dove la formazione e l’impiego di personale locale hanno permesso di creare un sistema d’eccellenza, riconosciuto anche a livello internazionale. Un lavoro che unisce passione, professionalità e una visione etica, contribuendo a trasformare vite e offrire speranza in uno dei Paesi più poveri al mondo.
Ora, Roberto Ravera, sta per costruire un nuovo centro per bambini, sempre in Sierra Leone e lo abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare di questo importante progetto.
Roberto Ravera: “Accogliamo bambini vittime di abusi, traumi o disabilità”
Il tuo impegno in Sierra Leone è ormai noto. Sono tanti i progetti che state portando avanti con la ONG Ravera Children Rehabilitation Centre in Sierra Leone. Ci vuoi raccontare come procedono?
La finalità del lavoro che svolgiamo in Sierra Leone è la creazione e il sostegno ad un network sociosanitario residenziale e territoriale rivolto alla salute mentale dei minori. Nel corso di quasi due decenni abbiamo sviluppato una forte integrazione con la realtà locale (ospedali, ministeri e soprattutto polizia) per accogliere bambini vittime di abusi e traumi o di grave disabilità mentale. A partire dal centro Clinico di Lakka (un sobborgo di Freetown) nel corso degli anni abbiamo costruito molti progetti per rispondere a bisogni ed emergenze specifiche.
Credo che un aspetto vincente sia stato quello di investire su tutto personale locale; infatti, RCRC ha circa una trentina di dipendenti della Sierra Leone – incluso il management – e ciò ha permesso loro di sviluppare competenze e capacità davvero sorprendenti. La nostra associazione FHM ITALIA onlus non solo finanzia per intero tutta l’organizzazione, le costruzioni e i progetti, ma noi volontari curiamo la formazione professionale del personale di RCRC. A dimostrazione di tali competenze, recentemente uno di loro è stato invitato a tenere un seminario a Lagos, in Nigeria, nel campo della psicologia del trauma. Il compito di FHM ITALIA onlus è quello di garantire il finanziamento di RCRC in quanto non è e non sarà mai un’azienda che potrà generare profitti.
Nel corso di questi anni i migliaia di pazienti di cui siamo presi cura sono stati bambini e ragazzi tra i più poveri e fragili, che hanno avuto la sventura di nascere in un Paese che non ha una sanità pubblica e tanto meno una sensibilità per la salute mentale. Non a caso siamo una delle rare organizzazioni non governative ad avere competenze e strutture in questo campo.
Il grave problema della droga kush: effetti devastanti e una fortissima dipendenza tra i più giovani
Per altro abbiamo letto che in questo momento c’è una forte dipendenza da kush tra i ragazzi più giovani, state affrontando anche questa problematica?
Per capire cosa sia questa droga così diffusa in Sierra Leone, occorre comprendere che si tratta di una sostanza che viene fumata e a base di cannabinoidi sintetici, solventi volativi e di Fentanyl. Quest’ultimo è un oppiaceo sintetico cinquanta volte più potente dell’eroina, in grado di sviluppare nei consumatori devastanti effetti collaterali e una fortissima dipendenza. Costa molto poco una dose di kush anche per un Paese povero come la Sierra Leone. Pare evidente che i narcotrafficanti hanno saputo mettere sul mercato una droga in grado di rispondere alle fragilità e vulnerabilità di una popolazione giovanile che nella maggior parte è disoccupata ed emarginata.
Non esistendo una sanità pubblica in grado di dare una risposta a questa epidemia, come RCRC abbiamo attivato diversi progetti di prevenzione per cui siamo stati citati persino dai giornali locali. Ma soprattutto abbiamo finalmente realizzato la nuova comunità terapeutica a Mamanso Sanka, un villaggio a quattro ore d’auto dalla capitale e dove è già attiva dal 2014 la nostra scuola secondaria con 350 studenti. In comunità i ragazzi saranno curati per il tempo necessario e successivamente sono previsti percorsi scolastici e di inserimento lavorativo nei progetti di agricoltura o di altre attività formativi. La cosa affascinante di questo progetto è che in questi anni abbiamo lavorato per trovare sempre un accordo con i Paramount Chief (i capi villaggio) e l’intera comunità. In questo modo tutto l’ambiente sociale viene coinvolto nella cura dei nostri pazienti, creando un ambiente virtuoso che rende questo luogo molto più sostenibile e vivibile della città. Faremo l’inaugurazione del centro comunitario di Mamanso tra una settimana e questa deve essere una grande soddisfazione per noi italiani che abbiamo creduto a questo progetto.
Il nuovo centro di Tokeh: “Uno spazio bellissimo dove i bambini potranno essere curati”
Ora siete alle prese con la costruzione di un nuovo centro per bambini a Tokeh. Come funzionerà, a chi sarà destinato?
Il nuovo centro di Tokeh risponde alla necessità di ampliare e migliorare l’attuale centro clinico di Lakka in cui siamo da oltre 15 anni e che ha ospitato migliaia di bambini da zero a tredici anni. A Tokeh stiamo costruendo uno spazio bellissimo e funzionale, dove i bambini troveranno un ambiente idoneo a ricevere le cure dal punto di vista medico, psicologico, educativo e riabilitativo. Una parte dei bambini che vengono portati nel nostro centro hanno disabilità gravi, necessitano di cure e attenzioni particolari e resteranno con noi per il resto della loro vita. Il nuovo centro di Tokeh è in una zona più lontana da Freetown, vicino ad un parco naturale e non distante dal mare; qui i bambini e gli operatori vivranno in un ambiente sano, con tutto il necessario per migliorare la qualità della loro vita. Stiamo anche costruendo alcune case per ospitare i volontari che vorranno vivere un’esperienza professionale e umana straordinaria. Nonostante la mole di lavori, i costi e l’impegno necessario, speriamo di fare l’inaugurazione per la fine del 2025.
Come risponde la comunità locale a queste vostre incredibili iniziative?
Chi è stato con noi in Sierra Leone ha potuto toccare con mano tutte le attività in cui siamo impegnati: centri clinici residenziali, assistenza medica, psicologica, legale e riabilitativa ai ragazzi delle carceri minorili, ambulatori medici a Kroobay, Mamanso Sanka High Secondary School, comunità terapeutica per adolescenti, corsi di formazione professionale per ragazzi, progetti di agricoltura, etc. Ma la cosa bellissima è il rispetto e l’affetto che come volontari italiani ci siamo conquistati nel corso di tutti questi anni. Ho fatto molti errori, ho sbagliato delle scelte, lo ammetto, ma ho sempre avuto una autentica forma di amore per questo Paese e per questa gente e non ho mai smesso di credere in quello che facciamo insieme a loro.
Roberto Ravera in Sierra Leone: “Quando ci si spende per gli altri si ricava una forza gioiosa e liberatoria”
Sei attivo in Sierra Leone da più di 15 anni ormai, cosa ti spinge a voler rimanere ancora?
Mi rifaccio a quanto dicevo poco fa. Oramai mi sento parte di questo mondo, non lo dico con una banale forma di retorica della carità. Ho sempre provato fascinazione, curiosità e interesse per questa incredibile realtà ed ho espresso qui dove sono adesso lo stesso tipo di competenze che metto nel mio lavoro in Italia. Siamo tutti umani allo stesso modo, ma è interessante vedere come il nostro software culturale ed etnico ci renda così diversi. Non avere intorno a me le certezze e i punti di riferimento del mio ambiente o nella mia azienda sanitaria, mi ha spinto a mettermi in gioco, a sviluppare una forza interiore non indifferente.
Vorrei che fossero i nostri giovani a capire ciò che affermo. Quando ci si spende per gli altri si ricava una forza gioiosa e liberatoria, perché ci si affranca un po’ da sé stessi. Non guardare solo al proprio ombelico apre ad energie di cui non si sospettava l’esistenza. Coloro che sono qui con me lo possono confermare e, a titolo di esempio, cito Giacomo, un giovane plurilaureato e manager, che ha deciso di lavorare con noi in Sierra Leone in queste settimane. Vorrei che poteste vedere il suo sguardo quando siamo in mezzo a coloro che sono gli ultimi della terra. Mi chiedo: quale prezzo dovrebbe avere tutto questo?
Concludo dicendo che stando qui capisco quando possa essere difficile la vita per le persone. Oggi mi è capitato di vedere una scena davvero sconcertante. Nei pressi di un incrocio un gruppo di donne vendeva in un contenitore d’alluminio della frutta. A un certo punto da una camionetta è sceso un poliziotto che correndo le ha preso tutto il piatto della frutta. La povera donna ha visto il frutto del suo magro lavoro sparire in un istante e il suo sguardo – e quello delle altre donne intorno – mi ha fatto capire che non fosse inusuale questo episodio. Anche se in questi anni ho visto di peggio, non riesco ancora ad abituarmi alle ingiustizie e le sofferenze delle persone. Soprattutto di coloro che sono i più vulnerabili. Spero di avere sempre la forza per continuare ad alleviare un po’ di questo dolore“.
E noi non possiamo far altro che ringraziare Roberto Ravera e tutto il suo team per questo incredibile lavoro e per l’insegnamento forte ed emozionante che ci ha trasmesso anche in queste poche semplici parole.
Selena Marvaldi