Un’inchiesta complessa e di portata nazionale ha visto protagonista l’imprenditore Roberto Picena, nato ad Arma di Taggia, titolare di una rete di cooperative e società riconducibili principalmente al gruppo “Il Faro”.
Si tratta di uno dei primi processi per sfruttamento del lavoro su larga scala
L’indagine, denominata “Mecenate” è stata condotta dalla Guardia di Finanza ed ha portato alla luce un presunto sistema di frode fiscale, riciclaggio e sfruttamento del lavoro, ai danni di circa 2.400 dipendenti, con accuse legate alla violazione dei diritti dei lavoratori e alla gestione irregolare dei contratti. Uno dei principali committenti del Gruppo finito sotto inchiesta è il colosso della moda Zara.
L’inizio dell’inchiesta: un intricato sistema di subappalti
Le indagini sono partite con l‘accusa di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro, il cosiddetto “caporalato”. Al centro dell’inchiesta vi era un gruppo iniziale di 5-6 imputati, tra cui Picena, e successivamente sono stati coinvolti altri 20 responsabili di cooperative e SRL sparse in tutta Italia.
Secondo quanto emerso, Zara affidava annualmente contratti del valore di 20 milioni di euro alle società di Picena per la gestione delle pulizie in 342 negozi in Italia. Questi contratti venivano poi distribuiti tra 27 cooperative e SRL, creando un intricato sistema di subappalti. Dalle indagini è emerso che i lavoratori delle singole cooperative venivano assunti su mera base oraria e ad esigenza per metro quadro.
Il danno ai lavoratori e i sequestri
Dalle indagini è emerso che tra il 2016 e il 2018, i lavoratori coinvolti avrebbero percepito 23 milioni di euro in meno rispetto al dovuto. Di questa somma, il gruppo Picena avrebbe tratto un profitto di 9 milioni di euro, somma poi sequestrata dalla Procura. Tuttavia, prima del sequestro, erano già stati risarciti i lavoratori con 15 milioni di euro, di cui 7,5 milioni versati da Zara e 7,5 milioni da Picena. Questo risarcimento ha portato a 3.300 conciliazioni con i sindacati, lasciando oggi i lavoratori fuori dal processo come parti civili.
I patteggiamenti e le decisioni giudiziarie
Queste le richieste di patteggiamento – presentate con il consenso del Pubblico Ministero – avanzate dalle difese (tra cui gli avvocati Luigi Patrone, Anna Bruno, Guido Furgiuele) degli imputati, che prevedono pene sospese senza confisca dei profitti. Nello specifico, tra i più importanti figurano:
- Roberto Picena: 2 anni di reclusione, pena sospesa subordinata al pagamento di 4 milioni di euro di debiti all’INPS.
- Gli altri imputati accusati di associazione a delinquere: pene sospese a 1 anno e 4 mesi (1 anno e 6 mesi per Biagio Cagnetta, consulente del lavoro).
- Per i reati di sfruttamento del lavoro: 6 mesi di pena sospesa.
- Le società coinvolte hanno chiesto il patteggiamento con sanzioni pecuniarie di 36.120 euro e un’interdizione di 6 mesi dalle attività, ma senza confisca dei profitti.
La somma totale richiesta del patteggiamento per le società si attesta attorno ai 940 mila euro, un risultato delle sanzioni amministrative concordate durante il processo e distribuite tra le varie entità implicate.
Il ruolo di Zara e l’archiviazione
Nonostante il coinvolgimento del brand Zara il Giudice ha stabilito che non vi fossero prove sufficienti per dimostrare una consapevolezza piena del sistema fraudolento da parte dei responsabili del colosso della moda. Così il brand si è poi costituito come parte civile, chiedendo i danni di immagine. Tuttavia, la difesa si è opposta, richiedendo la revoca della costituzione di parte civile del committente.
L’inchiesta rappresenta uno dei primi casi in Italia a portare in dibattimento accuse di sfruttamento del lavoro su larga scala. Il caso quindi ha sollevato importanti interrogativi sul funzionamento delle catene di subappalti e sulla responsabilità dei committenti nei confronti dei lavoratori.