Si entra nella fase decisiva del processo contro Salvatore Aldobrandi, accusato per l’omicidio volontario aggravato di Sargonia Dankha, scomparsa nel 1995 in Svezia.
Oggi, 13 dicembre, prende il via la discussione conclusiva presso la Corte d’Assise di Imperia, con la requisitoria del Pubblico Ministero Paola Marrali, seguita dalle arringhe dell’avvocato della parte civile, Francesco Rubino, e del difensore dell’imputato, Fabrizio Cravero.
Questa giornata segna l’inizio del capitolo finale di un caso complesso e ricco di colpi di scena, che ha riportato alla luce dettagli importanti sulla scomparsa della giovane ventunenne. Dopo la conclusione degli interventi delle parti la Corte si ritirerà in camera di consiglio per deliberare sulla sentenza.
La sentenza attesa entro domenica
La sentenza dovrebbe essere resa nota entro la giornata di domenica presso il Tribunale di Imperia, portando a termine un processo che ha impegnato magistrati, avvocati e testimoni per mesi. Seguiremo la giornata odierna riportando i punti salienti della requisitoria e delle arringhe, offrendo un quadro completo di questa fase cruciale del procedimento.
La requisitoria del Pubblico Ministero Paola Marrali: “Sargonia come Roberta Ragusa. Vi dimostreremo che la persona che l’ha uccisa è Aldobrandi”
La PM Paola Marrali ha iniziato la sua requisitoria sottolineando come il caso di Sargonia Dankha segua un tipico schema di femminicidio, un fenomeno purtroppo ben noto dalla cronaca. “Un gesto estremo di possesso e di gelosia nei confronti di questa donna. Il femminicidio che vi trovate a giudicare è l’uccisione, da parte dell’allora 46enne Salvatore Aldobrandi, incapace di accettare la decisione di Sargonia di porre fine a una relazione caratterizzata da violenza, minacce, ossessione, controllo e gravi aggressioni,” ha dichiarato Marrali.
La dottoressa Marrali ha quindi poi paragonato il caso a quello di Roberta Ragusa, citando come esempio il lavoro della Corte di Cassazione per distinguere tra un allontanamento volontario e un femminicidio. “La mancanza di dati deriva dall’azione spregiudicata della persona che ha commesso l’atto criminoso. La situazione di Sargonia è identica a quella di Roberta Ragusa: sparita da un momento all’altro, svanita nel nulla – ha aggiunto – Non aveva niente con sè, solo il passaporto, ma la madre della ragazza ha spiegato che Sargonia, lo portava sempre e dai controlli delle forze dell’ordine non è mai emerso nulla”.
La PM ha evidenziato che però non c’erano segnali di un possibile allontanamento volontario da parte di Sargonia. “Non aveva mai detto di volersi allontanare. Era una ragazza di 20 anni come tante altre, con amici, una vita normale, fatta eccezione per il grave lutto del fratello. Forse nascondeva qualcosa ai genitori, come capita spesso, ma confidava tutto agli amici, e a nessuno di loro ha mai detto di voler sparire” ha sottolineato.
L’unico elemento certo, ha concluso Marrali, è che Sargonia aveva manifestato la volontà di porre fine alla relazione con Aldobrandi, di cui non sopportava più l’assillo e il controllo.
In merito agli avvistamenti di Sargonia, avvenuti dopo la scomparsa della ragazza, sono stati tutti verificati e di nessuno è stata rilevata la fondatezza. “E poi – ha continuato la PM – In 30 anni non c’è stato un minimo segnale. Una morte accidentale non ci avrebbe privato del corpo, non può che essere un omicidio e noi vi dimostreremo che la persona che ha ucciso Sargonia è Salvatore Aldobrandi”.
Il profilo di Sargonia, di Aldobrandi e il rapporto tra i due
La dottoressa Marrali ha poi iniziato a disegnare il profilo di Sargonia: “Una ragazza forte, decisa il cui carattere la porta anche ad opporsi alle violenze di Aldobrandi e che capiamo anche dalle lettere che sono state scritte proprio da lei”. La PM ne legge così alcune righe “Non voglio che i miei sentimenti siano più forti, ho paura di essere ferita. Voglio solamente che mi lasci, io faccio e dico ciò che voglio, non mi devi fare pressione”.
Il profilo di Aldobrandi tracciato dalla PM viene definito come “ingombrante”, alle cui spalle aveva già un’accusa di violenza sessuale nei confronti di una donna e di maltrattamento. “Un uomo infedele, capace di inventare una inesistente patologia al fegato per suscitare tenerezza. Una persona descritta, persino dalle amanti, con una personalità doppia e, dalla ex moglie come un soggetto che l’ha picchiata per tutto il matrimonio con calci nella pancia persino quando era incinta”. Le donne che invece non vengono vessate dall’imputato, secondo la PM, sono donne che autonomamente, magari per carattere, sono già sottomesse.
La requisitoria si concentra poi sulla tipologia di rapporto tra Aldobrandi e Sargonia che non è stata così lunga perché, già dopo solo pochi mesi, la donna aveva già lasciato Salvatore e dopo poco era scattata persino la prima denuncia. Una lite, violenta conclusa con la famigerata frase di Aldobrandi, ripetuta del PM: “Io non ho paura di andare in carcere perché ci sono già andato, se non stai con me mi ammazzo e poi mi suicido”.
La dottoressa Marrali continua: “All’inizio erano entrambi infatuati ed innamorati. Ma poi è diventata una relazione caratterizzata da elementi disfunzionali di possesso, supremazia e controllo da parte di Aldobrandi verso la sua compagna. Salvatore cerca di isolarla per poter essere l’unico referente sentimentale della donna e poterla controllare ancora meglio. Dal fallimento di questa volontà di controllo scaturiscono le reazioni violente che hanno la punta massima nell’omicidio”.
“Se io voglio tua figlia tu non la vedi più” è una delle svariate frasi che la dottoressa Marrali riporta e che sono state pronunciate da Aldobrandi a Sargonia, alla famiglia e alle amiche. Ma nella requisitoria non mancano nemmeno i ricordi inerenti i racconti delle violenze subite dalla donna: sputi, tentativi di strangolamenti, percosse…
La PM ha evidenziato come gli ultimi giorni di Sargonia siano stati caratterizzati da una crescente tensione con Aldobrandi, alimentata dalle sue incessanti telefonate, che la giovane accoglieva con evidente fastidio. Una sera, Aldobrandi si è recato a casa di Sargonia, dove è stato respinto con fermezza, scatenando la sua ira e portando l’uomo, sempre secondo l’accusa, a porre in essere la minaccia che aveva più volte dichiarato: “Se non la posso avere io non la può avere nessun altro”.
Gobbi: “Dopo l’ennesima lite, verosimilmente Aldobrandi non ci ha più visto e l’ha uccisa”
Il PM Matteo Gobbi ricostruisce i momenti immediatamente precedenti e successivi alla scomparsa di Sargonia. La denuncia arriva solo il 16 novembre, dopo che i genitori, preoccupati per l’assenza di notizie dalla figlia, non solo con loro, ma con tutti gli altri amici e conoscenti, si recano dalle forze dell’ordine.
“La polizia inizialmente tratta il caso come una denuncia per persona scomparsa – spiega Gobbi – considerando anche l’ipotesi di un allontanamento volontario.” Questa prospettiva ha orientato le prime indagini, che però non hanno fornito elementi utili a suffragare tale ipotesi. Si inizia così un’analisi e una indagine più specifica e, secondo il dottor Gobbi, Sargonia è stata vista andare a casa di Aldobrandi perché aveva ricevuto, di nuovo, diverse telefonate dall’uomo che pare pretendesse un incontro. La requisitoria continua con l’accento posto sul fatto che da quel momento Sargonia non si è mai più vista: “Verosimilmente all’esito di un’ulteriore lite tra lei e Aldobrandi quest’ultimo non ci ha più visto e Salvatore l’ha uccisa. Una spiegazione plausibile perché Sargonia non si è vista uscire, anche per la ricostruzione fattuale dei comportamenti da quel momento al momento della carcerazione preventiva di Aldobrandi”.
Il sostituto procuratore presenta le prove della presunta colpevolezza di Aldobrandi
“Viene visto intorno alle 3 di pomeriggio – prosegue il dottor Gobbi – E ha un unico interesse: trovare il modo di disfarsi di un corpo. È provato, ha un atteggiamento di chi nasconde qualcosa. Chiede e si aggira per la città chiedendo di Canfora che aveva un furgone […] Non trovandolo si reca da Slobodan chiedendo aiuto per il trasporto di sacchi nonostante non avessero quasi rapporti e in uno stato di agitazione. Slobodan capisce che c’è qualcosa che non va e cerca di tirare fuori una confessione ad Aldobrandi”.
Il sostituto procuratore Gobbi spiega che Aldobrandi, non trovando una soluzione, chiama l’ex compagna per chiedere in prestito l’auto (dandole 500 corone) e persino la donna si rende conto che qualcosa non andava, ma non fa troppe domande in merito. “Doveva comprarne il silenzio – spiega il dottor Gobbi – E si accerta anche che non abbia detto niente ai colleghi del prestito dell’auto. Quel pomeriggio Aldobrandi prepara probabilmente l’auto per il trasporto del corpo perché, quando viene restituita alla donna, dalla testimonianza emerge che la vettura è infangata. Nei giorni successivi la donna si accorge che il sedile posteriore del passeggero è stato reclinato in avanti, che era stata guidata per circa 250 chilometri…” .