18 Gennaio 2025 02:08

Imperia: processo Aldobrandi. Accusa e Parte Civile chiedono l’ergastolo: “Era meglio eliminarla che vederla libera”. La difesa: “Prove incomplete, lacune e incongruenze”

Si entra nella fase decisiva del processo contro Salvatore Aldobrandi, accusato per l’omicidio volontario aggravato di Sargonia Dankha, scomparsa nel 1995 in Svezia.

Oggi, 13 dicembre, prende il via la discussione conclusiva presso la Corte d’Assise di Imperia, con la requisitoria del Pubblico Ministero Paola Marrali, seguita dalle arringhe dell’avvocato della parte civile, Francesco Rubino, e del difensore dell’imputato, Fabrizio Cravero.

Questa giornata segna l’inizio del capitolo finale di un caso complesso e ricco di colpi di scena, che ha riportato alla luce dettagli importanti sulla scomparsa della giovane ventunenne. Dopo la conclusione degli interventi delle parti la Corte si ritirerà in camera di consiglio per deliberare sulla sentenza.

Il riassunto delle discussioni finale

Il Pubblico Ministero Paola Marrali, insieme al sostituto Procuratore Gobbi, hanno presentato un impianto accusatorio che si fonda sull’idea di un femminicidio motivato da possesso, controllo e gelosia. Sono stati ricostruiti gli ultimi giorni di Sargonia evidenziando una relazione caratterizzata da tensioni, violenze e minacce, culminata – secondo l’accusa – con l’omicidio da parte di Aldobrandi, incapace di accettare la fine del rapporto.

L’avvocato della parte civile, Francesco Rubino, ha sostenuto la tesi accusatoria sottolineando l’assenza di piste alternative credibili, la mole di indizi raccolti e il comportamento ossessivo di Aldobrandi nei confronti di Sargonia, descritto come un tentativo di controllo totale. Per Rubino, il movente è chiaro: per Aldobrandi era più sopportabile eliminare Sargonia che vederla libera.

La difesa, rappresentata dall’avvocato Fabrizio Cravero, ha invece contestato l’intero impianto accusatorio, evidenziando incongruenze nelle prove e nei verbali raccolti, nonché una ricostruzione lacunosa dei fatti. Cravero ha insistito sul rispetto delle regole processuali e sulla mancanza di elementi concreti che colleghino Aldobrandi al presunto omicidio, criticando inoltre il peso attribuito a testimonianze rilasciate a distanza di anni dai fatti.

La sentenza attesa entro domenica

La sentenza dovrebbe essere resa nota entro la giornata di domenica presso il Tribunale di Imperia, portando a termine un processo che ha impegnato magistrati, avvocati e testimoni per mesi. Seguiremo la giornata odierna riportando i punti salienti della requisitoria e delle arringhe, offrendo un quadro completo di questa fase cruciale del procedimento.


Il racconto completo delle discussioni: la requisitoria dei PM, l’arringa della Parte Civile e della Difesa.

La requisitoria del Pubblico Ministero Paola Marrali: “Sargonia come Roberta Ragusa. Vi dimostreremo che la persona che l’ha uccisa è Aldobrandi”

La PM Paola Marrali ha iniziato la sua requisitoria sottolineando come il caso di Sargonia Dankha segua un tipico schema di femminicidio, un fenomeno purtroppo ben noto dalla cronaca. “Un gesto estremo di possesso e di gelosia nei confronti di questa donna. Il femminicidio che vi trovate a giudicare è l’uccisione, da parte dell’allora 46enne Salvatore Aldobrandi, incapace di accettare la decisione di Sargonia di porre fine a una relazione caratterizzata da violenza, minacce, ossessione, controllo e gravi aggressioni,” ha dichiarato Marrali. 

La dottoressa Marrali ha quindi poi paragonato il caso a quello di Roberta Ragusa, citando come esempio il lavoro della Corte di Cassazione per distinguere tra un allontanamento volontario e un femminicidio. “La mancanza di dati deriva dall’azione spregiudicata della persona che ha commesso l’atto criminoso. La situazione di Sargonia è identica a quella di Roberta Ragusa: sparita da un momento all’altro, svanita nel nullaha aggiunto – Non aveva niente con sè, solo il passaporto, ma la madre della ragazza ha spiegato che Sargonia, lo portava sempre e dai controlli delle forze dell’ordine non è mai emerso nulla”.

La PM ha evidenziato che però non c’erano segnali di un possibile allontanamento volontario da parte di Sargonia. “Non aveva mai detto di volersi allontanare. Era una ragazza di 20 anni come tante altre, con amici, una vita normale, fatta eccezione per il grave lutto del fratello. Forse nascondeva qualcosa ai genitori, come capita spesso, ma confidava tutto agli amici, e a nessuno di loro ha mai detto di voler sparire” ha sottolineato. 

L’unico elemento certo, ha concluso Marrali, è che Sargonia aveva manifestato la volontà di porre fine alla relazione con Aldobrandi, di cui non sopportava più l’assillo e il controllo. 

In merito agli avvistamenti di Sargonia, avvenuti dopo la scomparsa della ragazza, sono stati tutti verificati e di nessuno è stata rilevata la fondatezza. “E poi – ha continuato la PM – In 30 anni non c’è stato un minimo segnale. Una morte accidentale non ci avrebbe privato del corpo, non può che essere un omicidio e noi vi dimostreremo che la persona che ha ucciso Sargonia è Salvatore Aldobrandi”.

Il profilo di Sargonia, di Aldobrandi e il rapporto tra i due

La dottoressa Marrali ha poi iniziato a disegnare il profilo di Sargonia: “Una ragazza forte, decisa il cui carattere la porta anche ad opporsi alle violenze di Aldobrandi e che capiamo anche dalle lettere che sono state scritte proprio da lei”. La PM ne legge così alcune righe “Non voglio che i miei sentimenti siano più forti, ho paura di essere ferita. Voglio solamente che mi lasci, io faccio e dico ciò che voglio, non mi devi fare pressione”.

Il profilo di Aldobrandi tracciato dalla PM viene definito come “ingombrante”, alle cui spalle aveva già un’accusa di violenza sessuale nei confronti di una donna e di maltrattamento. “Un uomo infedele, capace di inventare una inesistente patologia al fegato per suscitare tenerezza. Una persona descritta, persino dalle amanti, con una personalità doppia e, dalla ex moglie come un soggetto che l’ha picchiata per tutto il matrimonio con calci nella pancia persino quando era incinta”. Le donne che invece non vengono vessate dall’imputato, secondo la PM, sono donne che autonomamente, magari per carattere, sono già sottomesse. 

La requisitoria si concentra poi sulla tipologia di rapporto tra Aldobrandi e Sargonia che non è stata così lunga perché, già dopo solo pochi mesi, la donna aveva già lasciato Salvatore e dopo poco era scattata persino la prima denuncia. Una lite, violenta conclusa con la famigerata frase di Aldobrandi, ripetuta del PM: “Io non ho paura di andare in carcere perché ci sono già andato, se non stai con me mi ammazzo e poi mi suicido”.

La dottoressa Marrali continua: “All’inizio erano entrambi infatuati ed innamorati. Ma poi è diventata una relazione caratterizzata da elementi disfunzionali di possesso, supremazia e controllo da parte di Aldobrandi verso la sua compagna. Salvatore cerca di isolarla per poter essere l’unico referente sentimentale della donna e poterla controllare ancora meglio. Dal fallimento di questa volontà di controllo scaturiscono le reazioni violente che hanno la punta massima nell’omicidio”. 

Se io voglio tua figlia tu non la vedi più” è una delle svariate frasi che la dottoressa Marrali riporta e che sono state pronunciate da Aldobrandi a Sargonia, alla famiglia e alle amiche. Ma nella requisitoria non mancano nemmeno i ricordi inerenti i racconti delle violenze subite dalla donna: sputi, tentativi di strangolamenti, percosse…

La PM ha evidenziato come gli ultimi giorni di Sargonia siano stati caratterizzati da una crescente tensione con Aldobrandi, alimentata dalle sue incessanti telefonate, che la giovane accoglieva con evidente fastidio. Una sera, Aldobrandi si è recato a casa di Sargonia, dove è stato respinto con fermezza, scatenando la sua ira e portando l’uomo, sempre secondo l’accusa, a porre in essere la minaccia che aveva più volte dichiarato: “Se non la posso avere io non la può avere nessun altro”

Gobbi: “Dopo l’ennesima lite, verosimilmente Aldobrandi non ci ha più visto e l’ha uccisa”

Il PM Matteo Gobbi ricostruisce i momenti immediatamente precedenti e successivi alla scomparsa di Sargonia. La denuncia arriva solo il 16 novembre, dopo che i genitori, preoccupati per l’assenza di notizie dalla figlia, non solo con loro, ma con tutti gli altri amici e conoscenti, si recano dalle forze dell’ordine.

“La polizia inizialmente tratta il caso come una denuncia per persona scomparsa – spiega Gobbi – considerando anche l’ipotesi di un allontanamento volontario.” Questa prospettiva ha orientato le prime indagini, che però non hanno fornito elementi utili a suffragare tale ipotesi. Si inizia così un’analisi e una indagine più specifica e, secondo il dottor Gobbi, Sargonia è stata vista andare a casa di Aldobrandi perché aveva ricevuto, di nuovo, diverse telefonate dall’uomo che pare pretendesse un incontro. La requisitoria continua con l’accento posto sul fatto che da quel momento Sargonia non si è mai più vista: “Verosimilmente all’esito di un’ulteriore lite tra lei e Aldobrandi quest’ultimo non ci ha più visto e Salvatore l’ha uccisa. Una spiegazione plausibile perché Sargonia non si è vista uscire, anche per la ricostruzione fattuale dei comportamenti da quel momento al momento della carcerazione preventiva di Aldobrandi”. 

Il sostituto procuratore presenta le prove della presunta colpevolezza di Aldobrandi

Viene visto intorno alle 3 di pomeriggio – prosegue il dottor Gobbi – E ha un unico interesse: trovare il modo di disfarsi di un corpo. È provato, ha un atteggiamento di chi nasconde qualcosa. Chiede e si aggira per la città chiedendo di Canfora che aveva un furgone […] Non trovandolo si reca da Slobodan chiedendo aiuto per il trasporto di sacchi nonostante non avessero quasi rapporti e in uno stato di agitazione. Slobodan capisce che c’è qualcosa che non va e cerca di tirare fuori una confessione ad Aldobrandi”.

Il sostituto procuratore Gobbi spiega che Aldobrandi, non trovando una soluzione, chiama l’ex compagna per chiedere in prestito l’auto (dandole 500 corone) e persino la donna si rende conto che qualcosa non andava, ma non fa troppe domande in merito.

Doveva comprarne il silenzio – spiega il dottor Gobbi – E si accerta anche che non abbia detto niente ai colleghi del prestito dell’auto. Quel pomeriggio Aldobrandi prepara probabilmente l’auto per il trasporto del corpo perché, quando viene restituita alla donna, dalla testimonianza emerge che la vettura è infangata. Nei giorni successivi la donna si accorge che il sedile posteriore del passeggero è stato reclinato in avanti, che era stata guidata per circa 250 chilometri…” .

Il dottor Gobbi fa poi notare che l’imputato, che fino a quel momento aveva fatto un uso smodato del telefono, per giorni smette di chiamare e di usare il cellulare. “Aldobrandi va poi a cena il 17 novembre con degli amici per giocare a carte e i testimoni notano una ferita sulla mano dell’uomo oltre che un comportamento strano ossia il disinteresse nei confronti della sparizione della donna”. 

Quando la Polizia entra a casa di Aldobrandi – prosegue Gobbi – trova tracce di sangue, schizzi da proiezione ossia da impatto con arma bianca, impossibili da datare […]Ci sono poi dei sequestri fatti sull’auto e delle macchie di sangue sul paraurti come se fosse colato, macchie di sangue sulla giacca”.

La chiosa della requisitoria: “È stato seminato il seme del dubbio, ma non è mai giunto a maturazione”

Il sostituto procuratore inizia poi una dettagliata analisi di tutte le prove a carico di Aldobrandi e dei reperti raccolti durante le indagini in Svezia: “La mia spiegazione è che l’uomo si è caricato il corpo su una spalla ed essendo pesante, la forza per scaricare è stata fatta sulla parte destra dove c’erano le macchie. Non ho molto altro da aggiungere, l’unica spiegazione possibile a fronte di mere ipotesi, è che Sargonia sia stata uccisa il 13 novembre 1995 e nel corso del pomeriggio e della notte sia stato soppresso il suo cadavere per mano di Salvatore Aldobrandi. 

“Ritengo – ha concluso Gobbi – Che ogni singola udienza sia stata faticosa e ogni dibattimento cosparso del seme del dubbio, ma questo seme non è mai giunto a maturazione: un conto è dire che ci sono elementi concreti su cui basare un ragionamento, un conto è la mera possibilità di qualcosa di diverso, che non ha senso nel sistema processuale […]. Non si parla di un delitto premeditato, ma di un motivo abietto. Se una persona è spinta a commettere un delitto motivata anche dalla gelosia, dalla rabbia , c’è una pretesa punitiva che si realizza l’11 sera nella mente di Aldobrandi quando accerta con i proprio occhi che la donna ha un altro fidanzato”. Non ci sono attenuanti, secondo l’accusa: “Chiediamo che venga dichiarato responsabile, ritenute le aggravanti come contestate ed anche la recidiva contestata, chiedo che venga condannato con l’ergastolo”

L’arringa della Parte Civile, l’avvocato Rubino: “Voglio raccontarvi Sargonia come giovane donna strappata alla vita”

L’avvocato Francesco Rubino, per la parte civile, inizia la sua arringa ringraziando i colleghi per l’attività di raccolta del materiale probatorio che oggi è “di assoluto pregio”. “Mi limiterò ad evidenziare alcuni aspetti specifici – ha spiegato l’avvocato Rubino – Voglio raccontarvi chi era Sargonia, come giovane donna strappata alla vita. Aveva iniziato a vivere da sola e il 13 novembre si sveglia, si veste, prepara qualche appuntamento e non sa che sarà l’ultimo giorno della sua vita. Ne arriva da un weekend difficile, con la sua famiglia, con Aldobrandi tutte cose che le fanno capire che deve chiudere quella relazione.” 

Aldobrandi era disperato nel vedere Sargonia con altre persone, un amico è disperato in questo caso?”. Chiede ironicamente la Parte Civile che prosegue spiegando come la ragazza si sentisse perseguitata e come ci siano diverse prove a sostegno di questa sensazione: 18 chiamate in due giorni. Si è inserito nelle relazioni, nelle amicizie di Sargonia, voleva avere il controllo di ciò che succedeva, sapere cosa faceva Sargonia. Chiamava le amiche di lei in continuazione, soprattutto quando la sera dell’11 novembre si crea la frattura (Aldobrandi scopre e vede la relazione di Sargonia con un altro uomo ndr). Sargonia ha confidato che si sentiva trattata come un oggetto e da questo controllo scaturiscono insulti come “puttana”, violenze… un amico che la chiama così? Le imposizioni che le fa? Le minacce continue di morte che proferisce a Sargonia?” 


L’avvocato Rubino ricorda le confidenze di Sargonia su queste situazioni ossessive di cui era vittima e anche il pentimento nell’aver accettato dei soldi da Aldobrandi: “Aveva paura, faceva fatica a raccontare. Certo, a volte provava a reagire alla violenza e sono convinto che abbia provato a lasciar andare quella relazione proprio quel 13 novembre”.

L’analisi delle indagini e le altre ipotesi. Rubino: “Ipotesi accusatoria, è l’unica credibile e ragionevole”

“Dopo 29 anni è legittimo chiedersi se le indagini siano state svolte bene o se abbiano seguito una visione a tunnel – prosegue Rubino – Sono stati fatti controlli ovunque per l’ipotesi di allontanamento volontario, ma non emerge nulla. Emergono cose diverse invece: appuntamenti presi per il giorno della sparizione, lista della spesa da fare nei giorni successivi…  Questa non è una visione a tunnel, si è persino indagato l’ultimo fidanzato di Sargonia”. 

L’ipotesi accusatoria di oggi è l’unica possibilità, l’unica credibile e ragionevole di questo processo perché non ce ne sono altre. Tre anni e mezzo fa, le persone che vedete sedute al mio fianco (La madre e il fratello minore di Sargonia ndr) mi hanno chiesto se era possibile processare una persona per omicidio in Italia quando il corpo non è stato trovato”. 

“Ora quella domanda la vorrei ampliare – dichiara Rubino – In tutti i casi giudiziari in cui si è manifestata questa circostanza di assenza del corpo della vittima si sono seguite due analisi: la solidità dell’impianto accusatorio e la possibile presenza di piste alternative. […] In dibattimento non è emerso niente di nuovo rispetto al passato. Sono emerse le denunce, le circostanze, le minacce…”

L’avvocato Rubino prosegue: È un processo indiziario, è vero, ma non ha un’accezione negativa, qua di prove ce ne sono tante. Abbiamo la prova del DNA ad inchiodare l’imputato, tutte le prove e le attività sono state eseguite in modo perfetto. La difesa è stata certosina, ma questo dà ulteriore forza alla nostra tesi […] La realtà è che non si sarebbe mai voluta allontanare”. 

Rubino: “Per Aldobrandi era più sopportabile eliminarla rispetto a vederla e saperla libera, per questo l’ha uccisa”

Non è stata mera gelosiaspiega Rubino – Perché l’11 di novembre c’è una frattura in Aldobrandi stesso perché comprende che Sargonia non sarebbe mai stata più sua. Cosa fa? Reagisce in un moto di gelosia? No, la punisce per quella insubordinazione e quindi la diffama chiamando i genitori dicendogli che la figlia faceva un’orgia. Cerca di punirla perché vuole recidere il legame con i genitori e quando loro vanno a casa della figlia si acquatta, controlla, le recide la linea telefonica e chiama i servizi sociali. Perché? Perché la vuole punire. Qui c’è il passaggio dal “tu sei una cosa mia” allo stato “se non sei mia non sarai di nessun altro”. Per Aldobrandi era più sopportabile eliminarla rispetto a vederla e saperla libera, per questo l’ha uccisa. Questo processo è l’unico strumento per la famiglia di dimostrare che la vita della figlia ha un valore. Mi hanno chiesto se sarei riuscito a trovare il corpo, non posso rispondere io. Fin quando qualcuno non si deciderà a dire la verità non si potrà posare un fiore sulla tomba di Sargonia”. 

L’arringa dell’avvocato della difesa, Cravero: “La documentazione probatoria è incompleta”

L’avvocato della difesa, Fabrizio Cravero, inizia la sua arringa finale definendo il processo come un caso unico nel panorama nazionale rimarcando l’importanza di ancorare il procedimento ai principi fondamentali del giusto processo. “Il processo penale in Italia ha uno scopo preciso: verificare se l’ipotesi accusatoria trova riscontro in prove sufficienti a giustificare una condanna. Non si può chiedere alla giustizia di rispondere a domande che vanno oltre questo scopo” ha aggiunto.

Secondo la difesa, il compito della Corte è stabilire se i fatti descritti nel capo d’imputazione siano stati effettivamente commessi dall’imputato, restando nei confini del diritto e della procedura penale. L’avvocato Cravero ha inoltre chiesto alla Corte di rivalutare l’ordinanza che aveva rigettato la richiesta, ex articolo 507, di ascoltare i testimoni che avrebbero visto Sargonia in un periodo successivo ai fatti indicati dall’accusa. La documentazione probatoria è incompleta ha dichiarato il difensore – e deve essere integrata considerando ipotesi alternative, che non possono essere escluse a priori solo sulla base delle indagini svolte. La Corte d’Assise deve avere l’opportunità di valutare se tali testimonianze siano credibili o meno, senza limitazioni pregiudiziali.”

La difesa: “Indagini concentrate subito su Aldobrandi. Si è considerato il periodo storico?”

Dott. Carlo Alberto INDELLICATI

La difesa ha evidenziato come: “Le indagini si sono da subito concentrate su Aldobrandi: già il 20 novembre è stata effettuata una perquisizione nella sua abitazione, sono stati sequestrati oggetti personali e l’imputato è stato interrogato due volte” ha sottolineato l’avvocato Cravero.

Cravero ha insistito sull’importanza del rispetto delle regole processuali: Il giusto processo esiste solo se si seguono le regole. Io sono un manovale del diritto. Il capo d’imputazione negli anni non è mai stato modificato, è cristallizzato e su questo la Corte deve decidere: valutare se ci sono prove sufficienti per sostenere che, utilizzando un oggetto contundente, Aldobrandi abbia causato la morte di Sargonia”.

La difesa ha infine posto un interrogativo cruciale: “Io domando a questa Corte: ma durante l’istruttoria dibattimentale sapevamo o ci è stato spiegato quali sono gli elementi che hanno portato a ritenere che Sargonia si è recata a casa di Aldobrandi ed è lì che è stata uccisa? No. Abbiamo posto agli inquirenti domande simili? Hanno dimostrato che la Sargonia andava ad Aldobrandi? No”.

La difesa chiede poi di fare un’analisi e una riflessione sul periodo storico in cui si sono svolti i fatti: “Non possiamo prendere sentenze di casi del 2024 con i passaggi logici, giuridici e di individuazione delle persone e paragonarli, perché la sensibilità oggi è differente. Non considerarlo è destabilizzante, è come trasportare i fatti del 1995 nel 2015. Quando si vuol dire che questa donna sia stata oppressa dai presunti comportamenti di Aldobrandi, laddove fosse tutto vero, abbiamo percepito la società dell’epoca? A me non pare”. 

Siamo sicuri di aver avuto tutti i riscontri sugli episodi di presunti maltrattamenti?” ha dichiarato l’avvocato Cravero durante l’arringa finale. “E le denunce? Dov’è l’escalation? Tutti hanno descritto il rapporto tra Sargonia e Aldobrandi come burrascoso, ma definire qualcuno arrogante o presuntuoso non significa automaticamente arrivare alla morte di una persona. Quale relazione non ha mai problemi?”.

Fabrizio Cravero: “Che credibilità possiamo attribuire a un processo dove molti non ricordano cosa hanno detto?”

La difesa ha poi posto l’accento sulla mancanza di una chiara collocazione temporale degli eventi. “Un dato certo, che mi pare sia passato sotto traccia, è che Sargonia e Aldobrandi erano consapevoli che la ragazza fosse andata in Grecia per conoscere un nuovo fidanzato, che poi non le era piaciuto. Allora, siamo sicuri che tutta questa autodeterminazione di Sargonia, tanto sottolineata dall’accusa, ci fosse davvero?”

Cravero ha anche criticato la qualità delle testimonianze e dei verbali raccolti. “I verbali che analizziamo oggi sono riassuntivi, e lo erano ancora di più nel 1995. Alcuni testimoni sono stati riascoltati solo nel 2001, a distanza di anni dai fatti, e hanno aggiunto elementi che non erano stati riferiti inizialmente o li hanno raccontati in modo diverso. Che credibilità possiamo attribuire a un processo dove molti non ricordano cosa hanno detto in passato?”. Insomma, per la difesa, la maggior parte della narrazione della relazione appare incompleta e basata su elementi frammentari e poco verificabili senza contare che i dettagli, in alcuni casi dopo 30 anni possono essere persino stati immaginati.

Il focus sul telefono di Aldobrandi

L’arringa continua: “L’accusa dice che Aldobrandi ha ucciso Sargonia perché per un anno e mezzo l’ha trattata male e che alla fine è scoppiato. Io devo mostrare le incongruenze di questo racconto, di questo processo così grave. Queste incongruenze oggi le vediamo tanto perché oggi ci vengono dei dubbi, nel 2024. Ma nel 1995 ci saremmo posti la stessa domanda? Si è cercato di dire che Aldobrandi si era intrufolato nella cena con le amiche di Sargonia, ma non è vero: una sola amica ha detto così, ma il telefono di Aldobrandi ci racconta altro”.

È vero che chiama i genitori di Sargoniadichiara Cravero – ma per 5 secondi. Poi chiama Sargonia, 16 secondi e di nuovi genitori 43 secondi. Poco tempo per dire tutte quelle crudeltà. Quali sarebbero quelle lunghissime telefonate fatte di notte? C’è la telefonata del mattino con l’amica di Sargonia in cui Aldobrandi chiede scusa della sera prima”. L’avvocato dichiara, con un pizzico di perplessità, che solo oggi si scopre che proprio quelle telefonate, per altro la più lunga di soli 12 minuti, avrebbero costretto Sargonia ad andare da Aldobrandi. 

Parlando poi del capo di imputazione inerente la morte di Sargonia l’avvocato Cravero chiede: “Ci siamo chiesti se una lama può cagionare la morte? Questo è ciò che deve accertare la Corte. Con quelle due macchioline di sangue ritrovate, si causa l’evento morte? Ce lo siamo chiesti? Nessuna altra macchia viene trovata in casa e nemmeno nella macchina nonostante le analisi effettuate anche sui tappetini dell’auto. Se questa ricostruzione fosse stata presentata avremmo escluso Slobodan visto che parla di ascia e dubito che un’ascia lasci solo due macchioline di sangue”. 

Nel capo d’imputazione si parla di cadavere soppresso – spiega Cravero – Significa che è integro e nascosto dove non si può più ritrovare. Questo ci dice la giurisprudenza. E poi – continua l’avvocato – Perché l’ex compagna ha reso così tante dichiarazioni contrastanti? Perché era sotto torchio visto che era la sua auto quella dove erano state trovate le macchie di sangue. E la storia delle 500 corone viene raccontata nell’ultimo verbale, non nel primo. La donna, comunque, conferma che lei sa che Sargonia era salita in auto perché l’aveva prestata ad Aldobrandi, ma non è compito della difesa spiegare perché, se la Procura non lo fa, perché il sangue sia finito lì. È stata investita?

“E poi – continua la difesa – Se poniamo l’attenzione sul fango, che è sulle portiere esterne, se devo sopprimere un cadavere in una zona fangosa scendo e mi sporco le scarpe, ma dentro l’auto il fango non c’è. E che buche facciamo nel ghiaccio o nella neve il 13 di novembre in Svezia? Sono congetture, non sono indizi”.

“L’accusa – prosegue la difesa – Dovrebbe farsi qualche domanda, siamo in un processo indiziario. Abbiamo chiesto a chi ha analizzato l’auto come mai non c’è sangue sulla maniglia dell’auto ad esempio? I testimoni dicono solo che non hanno visto Sargonia quindi non hanno visto che è stata trasportata per le scale, né hanno visto che è stata caricata nell’auto. Il ruolo predominante in questa tipologia di reati lo fanno gli inquirenti e la polizia scientifica. Abbiamo chiesto se Aldobrandi alto 1 metro e 65 è possibile che abbia portato una donna di 1 metro e 78 per tre piani di scale? Se rispondono sì è un indizio, ma non è stata richiesta nessuna ricostruzione di questo tipo”.

Si analizzano poi le ferite:

“Gli elementi per cui si vuole ritenere che l’Aldobrandi sia colpevole sono poi le ferite che, nell’ordine, sono: ferite, abrasioni, graffi, morsi, scavatura nella pelle… Abbiamo un ricostruzione delle ferite completamente diversa da tutti i testi, ma ciò che abbiamo di certo è che il 20 di novembre, tre giorni dopo, i poliziotti non vedono nulla”.

Si avvia alla conclusione Cravero instillando altri dubbi:

“Ci sono innumerevoli altri elementi che sono distonici rispetto alla ricostruzione, ma veramente non possiamo immaginare ipotesi alternative alla luce di ciò che ho detto? È credibile solo questa versione che ha tutti questi appunti che ho fatto e che arrivano anche dalla stessa pubblica accusa? È difficilissimo a 30 anni di distanza, con assenza di inquirenti che abbiano spiegato come sono andate le cose. L’unica persona che in questo procedimento ha cercato di mettere qualche punto sul capo di imputazione è l’ispettore che parla di un impatto a media velocità dato da un’arma bianca piccola o uno schiaffo e un pugno. Già questo non rientra nel capo di imputazione e uno schiaffo e un pugno non uccidono una persona. E una coltellata che lascia 2 macchie sulla parete non è indizio di uccisione e domande su questa circostanza non ce ne sono state. Bastano quelle due macchie, se era in casa, per ritenere morta Sargonia?”.

Concentrandosi poi sulla richiesta dell’aggravante da parte dell’accusa, l’avvocato Fabrizio Cravero dichiara: “La Cassazione sui motivi abietti cosa dice? Ci devono essere riscontri in quel momento, non un anno prima. Deve far riferimento ad elementi concreti tenendo conto delle connotazioni culturali, contesto sociale, momento e fattori ambientali […]È la Cassazione che ci dice di avere riguardo di questi elementi. Non dobbiamo ricostruire tutta la storia di questo processo, ma questo non è stato nemmeno lontanamente fatto. Se ci facciamo raccontare solo una parte della relazione non potrà che essere un giudizio di parte”. 

Da ultimo, qual è la particolarità di questo processo? – chiede l’avvocato – È che noi ci troviamo a dover celebrare un processo a 30 anni di distanza e a comminare la pena dell’ergastolo come richiesto dalla pubblica accusa per un uomo che volente o no non è quello del 1995. È un uomo che per il suo casellario giudiziario, per tutto ciò che è emerso non ha mai più fatto nulla di quello di cui oggi si accusa. Quando mai capita di avere la certezza che per 30 anni non è successo nulla? È un altro uomo ed è evidente che ha completamente vissuto in maniera diversa, ce l’ha raccontato la moglie”.

Alla fine la difesa richiede l’assoluzione: “L’arduo compito della difesa non so se è stato assolto bene, però è stato finalizzato a darvi quanti più elementi la corte debba ritenere per verificare l’ipotesi accusatoria. Perché questo è il compito di chi deve difendere un imputato. In via preliminare chiedo l’assoluzione”.  

L’avvocato poi spiega che secondo la tesi della difesa quindi il fatto non è mai avvenuto e non ci sono prove sufficienti per dimostrare che sia colpevole. Se queste richieste non fossero accolte, la difesa ha chiesto di escludere la recidiva, di non considerare l’aggravante contestata e di riconoscere delle attenuanti, così da applicare la pena minima possibile.

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