22 Dicembre 2024 07:56

22 Dicembre 2024 07:56

L’AVVOCATO RISPONDE… INSULTI E INGIURIE SU FACEBOOK E TWITTER. SI RISCHIA UNA QUERELA PER DIFFAMAZIONE? / IL PARERE

In breve: Grazie alla collaborazione dell’avvocato Tahiri, ImperiaPost vuole contribuire, a titolo gratuito, a sciogliere quei dubbi e quelle questioni legali che spesso i cittadini si trovano ad affrontare.

collage tahiri fb

IMPERIA – Questa settimana la rubrica di consulenze legali di ImperiaPost si occuperà di diritto penale. In particolare di un tema sempre più d’attualità come l’uso dei social network come Facebook e Twitter.  Grazie alla collaborazione dell’avvocato R. Tahiri, i lettori potranno formulare alcune domande di carattere generale sui problemi/questioni che si trovano a dover affrontare.

LA DOMANDA:

“Buongiorno, sentiamo tanto parlare di querela per diffamazione via Social Network, mi può spiegare che cosa si rischia? Grazie in anticipo”.

IL PARERE: 

“Per dare una risposta, il più possibile chiara al quesito occorre concentrare l’attenzione sulla possibilità di qualificare i social network come “altro mezzo di pubblicità” ai fini dell’applicazione della aggravante di cui all’art. 595 comma 3 c.p. usualmente applicata alla diffamazione a mezzo stampa o a mezzo internet.

L’articolo 595 comma 3 del codice penale recita testualmente: “se l’offesa è recata con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516”.

I social network non possono essere considerati mezzi di informazione e, di conseguenza, chi insulta o discrimina la personalità altrui o ancora l’aspetto e l’ideologia altrui non può invocare a sua discolpa il diritto di cronaca e di critica.

Negli ultimi anni la giurisprudenza di merito si è più volte espressa sul tema anche in maniera contrastante; in alcuni casi ha semplicemente ritenuto di poter escludere a priori la diffamazione per mancanza dell’elemento essenziale della “comunicazione con più persone” richiesto dall’art. 595 c.p. per via dell’ambiente virtualmente ristretto in cui avviene la comunicazione all’interno dei social network rispetto allo sconfinato mondo di internet.

Con la sentenza n. 16712/14 la Suprema Corte di Cassazione ha fatto chiarezza in materia, stabilendo che la pubblicazione di una frase offensiva su di un profilo Facebook “rende la stessa accessibile ad una moltitudine indeterminata di soggetti con la sola registrazione al social network ed, anche per le notizie riservate agli «amici», ad una cerchia ampia di soggetti”, che pertanto postare un messaggio diffamatorio sul proprio profilo integra il dolo prescritto dall’art. 595 c.p., il quale richiede la semplice “volontà che la frase giunga a conoscenza di più persone, anche soltanto due”.

Un ulteriore precisazione della sentenza è, soprattutto, quello di aver anche sancito che non è necessario indicare nome e cognome della persona a cui è rivolta un’allusione offensiva: se la “vittima” è facilmente individuabile e la frase incriminata è pubblicata sul proprio o l’altrui stato di Facebook o in commento a qualche altro post, potrebbe configurarsi il reato di diffamazione.

Premesso quanto specificato dinnanzi si può concludere affermando, sulla base di quanto sancito dalla Suprema Corte, che la diffamazione a mezzo Facebook implichi le medesime conseguenze applicative della fattispecie concernente la diffamazione a mezzo stampa. Conclusione assolutamente rivoluzionaria così come adottata dalla cassazione sulla scia dell’allarme sociale concretizzato nell’epidemico diffondersi della critica a mezzo dei social network di nuovo conio. Assestamento che porta, conseguentemente, ad una sostanziale parificazione del web al mezzo stampa alla quale il legislatore dovrà molto probabilmente dar seguito.

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Mandate le vostre domande, ogni settimana saranno pubblicati i pareri dell’avvocato Tahiri.

Le domande dovranno essere inviate alla mail di redazione: redazione@imperiapost.it  con Oggetto: “Consulenza legale”.

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