Nel corso dell’udienza del processo relativo al porto turistico di Imperia in programma questa mattina presso il Tribunale di Torino, sono stati sentiti due collaboratori dello studio Morasso. L’architetto Morasso era stato investito dall’Acquamare del ruolo di direttore dei lavori. Il secondo collaboratore (chiamato a testimoniare dai difensori di Morasso) a rispondere alle domande, dopo Corrado Guidoni, è stato Federico Valente. Successivamente sono sfilati i testimoni della difesa di Ilvo Calzia, tre funzionari regionali del settore Urbanistica.
LA DEPOSIZIONE DI FEDERICO VALENTE.
“Ho lavorato presso lo studio dell’architetto Morasso come libero professionista con partita IVA. Per quanto concerne il porto di Imperia, ho seguito tutta la fase del progetto definitivo, dal 2003 in avanti. Mi sono occupato di progettazione. Ho seguito le opere a terra, l’autorimessa e la banchina San Lazzaro, in particolare la progettazione esecutiva, fase successiva all’approvazione del progetto definitivo. Mi sono rapportato con consulenti esterni, strutturisti, impiantisti e geologi. Mi sono anche occupato della stesura della variante, iniziata subito dopo l’approvazione del progetto definitivo nel 2007. Nel 2010 si è concluso l’iter con l’approvazione finale. La variante consisteva in un ripensamento di tutte le opere a terra, in base alle esigenze espresse dal committente. Esigenze che a noi venivano riportate dall’architetto Morasso. Chi era per noi il committente? L’Acquamarcia e l’Acquamare per noi erano entità indefinite. Io ho frequentato poco il cantiere. Non ci siamo mai occupati di contabilizzazione ed è un’eccezionalità che abbiamo attributo sin dall’inizio alla complessità del lavoro. A dir la verità ci è sempre sembrata una cosa strana, anomala, perché in termini concreti significa non poter far compiutamente l’attività per la quale si è ricevuto l’incarico. Noi ci siamo sempre e solo occupati di progettazione, mai di contabilizzazione, mai di sicurezza. Diciamo che la nostra era una direzione dei lavori atipica”.
“Lo studio Morasso aveva 20 collaboratori. Tutto lo studio ha lavorato per la progettazione del porto di Imperia. Ci siamo confrontati con collaboratori esterni. Signorelli era il collaboratore principale per quanto concerne la progettazione. Il rapporto con le imprese esecutrici è sempre stato tenuto dall’architetto Morasso che si recava a Imperia almeno due volte a settimana. Ci confrontavamo con i direttori di cantiere per ottenere informazioni immediate, ma non era facile, vista la catena di subappalti infinita. Il rapporto con i vari soggetti presenti nel cantiere era un vero e proprio ginepraio. Decine le persone incaricate e subito dopo decadute. E con l’addio di Signorelli perdemmo anche l’unico riferimento progettuale. Ad esempio, per quanto riguarda la hall del mare, gli strutturisti cambiavano impostazioni ogni 3-4 mesi, tanto che i lavori della hall del mare nell’ultimo periodo avevano subito un forte rallentamento. Morasso ci riferiva di pesanti situazioni di scontro dovute a mancati pagamenti. Molte imprese lasciavano i lavori a metà. Un esempio? Banchina San Lazzaro. Si sono succedute almeno 3-4 imprese con lunghi periodi di interruzione dei lavori e con danni e infiltrazioni che spesso portavano a accuse reciproche tra un’impresa e l’altra”.
“Gli interventi della committenza? Gli interventi della committenza erano diventati ormai un tormentone. La prima variante non aveva nessuna ragione di necessità, era motivata solo dal fatto che la committenza non approvava il progetto già approvato. Si verificavano interventi su questioni circoscritte che normalmente sono di competenza del progettista. Si trattava di atteggiamenti non logici, di impeto, che spesso si contraddicevano con le indicazioni fornite in precedenza. Morasso ha vissuto questa situazione molto male. È stato un esaurimento complessivo. Nello studio siamo rimasti in 3 e lo studio è decaduto in soli 2 anni, dal 2010 al 2012. Morasso nel corso del tempo ha cambiata carattere. Risentiva di questa situazione di tensione nell’ambito del progetto del porto di Imperia. Quando io vado in qualunque ufficio pubblico a Genova, come prima cosa mi viene chiesto ‘che cosa è successo a Emilio Morasso?’. In effetti è diventata lentamente un’altra persona, prima era brillante e disponibile, poi si è chiuso in se stesso, trasformandosi in una persona sofferente. Quanto tutto questo dipenda dalla vicenda del porto di Imperia non so valutarlo. Certamente vedere con i propri occhi uno studio stimato da tutti sgretolarsi in un paio di anni fa un certo effetto”.
“I mancati pagamenti hanno influito anche su noi collaboratori. Morasso era conosciuto a Genova perché pagava sempre e con grande puntualità. Poi tutto è cambiato negli ultimi due anni, con ritardi fatali, scatti, scenate, perché per Morasso era una questione di onore. La situazione economica dello studio è precipitata e lo studio ha chiuso alla fine dello scorso anno. Ora Morasso non vive più a Genova e l’ho visto in condizioni sempre peggiori. L’episodio che ha fatto precipitare i rapporti tra lo studio Morasso e la committenza è stato il furto di documentazione nella baracca di cantiere dell’ing. Valentino Castellini. Dentro la baracca erano custoditi gli originali dei documenti di concessione edilizia, di contabilità e di direzione lavori. I documenti di cantiere, i contenziosi con le imprese e i disegni originali timbrati, oltre ai timbri firma. Fu un episodio che ci fece capire che non avremmo portato a termine ne i nostri incarichi ne il porto turistico di Imperia. Fu un fatto vissuto da tutti noi con grande paura. L’inizio della degenerazione a mio modo di vedere è da ricercarsi nel licenziamento dell’ing. Signorelli, alla fine del 2008. Signorelli mi disse ‘stanno cercando di mandarmi via ed è per questo che non mi pagano’. Da quel momento in poi è mancato il riferimento fondamentale per realizzare il progetto esecutivo. Se non hai un ingegnere strutturista, e quando c’è viene cambiato ogni 4 mesi, come si fa a realizzare un porto turistico? Gli impianti? Il progetto degli impianti fu redatto con il tacito accordo che agli impianti ci avrebbero pensato le ditte appaltatrici. Per questo il progetto degli impianti luce e acqua delle residenze e degli uffici, la fognatura e il riscaldamento, sono stati da noi ipotizzati sulla scorta delle esperienze. Non esiste un elaborato relativo agli edifici del porto e non so ad oggi gli edifici che fine abbiano fatto. So che già allora c’erano problemi enormi per quanto concerne la funzionalità degli edifici. L’atteggiamento della committenza? Arrogante. Le critiche non erano motivate. La maggior parte delle modifiche era mirata a risparmiare, a contenere i costi”.
Successivamente sono sfilati i tre testimoni chiamati a deporre dalla difesa di Ilvo Calzia, ex dirigente del settore urbanistica del Comune di Imperia, accusato di abuso d’ufficio. I tre funzionari regionali del settore Urbanistica, Francesca Siclari, Claudio Repetto e Franco Lorenzani, hanno risposto alle domande sulle conferenze dei servizi che portarono al rilascio della concessione demaniale.
“Nella prima conferenza dei servizi, come Regione assumemmo la posizione di dare il nostro parere favorevole al progetto ad eccezione della variante sul capannone, in quanto ancora in fase di contestazione. Andammo in conferenza senza la delibera vera e propria della Giunta. La Giunta, però, anticipò la valutazione positiva del progetto ad esclusione, appunto, del capannone. Fu stralciata solo quella parte dall’approvazione complessiva. La delibera fu redatta alcuni giorni dopo e la portammo nella conferenza dei servizi successiva. Dopo la chiusura della conferenza, furono perfezionati tutti gli atti conclusivi, in particolare l’atto di rilascio della concessione demaniale, di cui si occuparono gli architetti Artom e Rapetto e l’ing. Lunghi. A conclusione delle verifiche ci fu un decreto dirigenziale dell’architetto Artom”.