Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni sono liberi. La Corte suprema indiana ha annullato la condanna all’ergastolo, pronunciata dall’Alta corte dell’Uttar Pradesh, disponendone l’immediata liberazione.
Tomaso Bruno, 29 anni, di Albenga, e Elisabetta Boncompagni, 40 anni, di Torino, erano detenuti dal febbraio del 2010 nel carcere di Varanasi, in India, con l’accusa di aver ucciso, strangolandolo in una stanza dell’hotel Buddha a Varanasi, Francesco Montis, compagno di Elisabetta.
“TOMASO LIBERO TOMASO LIBERO TOMASO LIBERO la sentenza di assoluzione è stata emessa questa mattina dalla Suprême Court !“. Così la madre di Tomaso Bruno, Marina Maurizio, ha comunicato pubblicamente la notizia sul gruppo Facebook “Tomaso Libero!”
LA RICOSTRUZIONE DELLA VICENDA
Per festeggiare il capodanno 2010 Elisabetta Boncompagni e il compagno, Francesco Montis, decidono di raggiungere degli amici in India, nell’Uttar Pradesh. Al viaggio si aggiunge anche Tomaso Bruno.
La mattina del 4 febbraio Tomaso ed Elisabetta trovano Francesco in agonia sul letto, in una stanza dell’hotel Buddha di Chentgani, alla periferia della città di Varanasi, dove soggiornano. Chiamano rapidamente i soccorsi, che tuttavia si rivelano vani. Sul luogo non arriva un’ambulanza, ma un taxi che trasporta il ragazzo in ospedale, dove un medico ne constata il decesso. Mentre Tomaso si mette in contatto con l’Ambasciata Italiana a Nuova Dehli, la polizia di Varanasi impone ai due ragazzi di non uscire dall’albergo, vieta loro di utilizzare internet e concede solo l’uso dei telefoni cellulari.
Le autorità indiane sono convinte: i due italiani vengono accusati dell’omicidio del loro amico. Il 7 febbraio 2010 Tomaso ed Elisabetta sono tratti in arresto con l’accusa di aver strangolato Francesco, sulla base di un esame postmortem sul cadavere della vittima secondo il quale il decesso sarebbe avvenuto per asfissia da strangolamento. Lo Studio Legale Titus (nominato su indicazione dell’Ambasciata Italiana per difendere i due giovani) fa eseguire una controperizia dalla quale si evince che la morte è sì avvenuta per asfissia, ma non da strangolamento bensì per altre cause.
Da quella data Tomaso ed Elisabetta sono detenuti nel carcere di Varanasi. Le richieste di libertà su cauzione presentate dallo Studio Legale Titus durante il lungo corso del processo, costellato da intoppi e rinvii di udienze, sono state tutte respinte dal giudice.