Ormea. A settant’anni dalla fine della guerra scompare uno degli ultimi testimoni della Resistenza. È venuto a mancare, domenica 11 gennaio, Italo Acquarone della classe 1926, partigiano combattente di Ormea.
Acquarone, lavoratore della cartiera di Ormea e amante della sua terra, ci lascia all’età di 89 anni e con lui se ne vanno testimonianze e ricordi di un’importante pagina collettiva della storia di Imperia e d’Italia, che però restano impressi negli scatti della sua giovinezza partigiana a Valcona fraz. di Mendatica, tratti dal libro di Tiziana Martini “Dottor Eugenio e Don Nino Martini – Due vite parallele”.
Il ricordo della figlia Franca Acquarone:
“Abbiamo accompagnato mio padre a Valcona Soprana in un giorno d’estate: case di pietra ristrutturate,gerani alle finestre e mazzi di cardi fioriti appesi a lunghi chiodi infissi al muro.
Mio padre cerca il fienile in cui ha passato le notti: partigiano intento a trovare rifugio e scampo dai tedeschi che ridevano, urlavano, sparavano su per il Bosco di Rezzo fino al Bosco Nero.
Cerca il fienile e il forno comunitario che lo ha riscaldato regalandogli la forza per avanzare ancora e continuare più oltre la battaglia. Mio padre cammina fra le case, il passo lento ma ancora fermo, i piedi sul selciato e lo sguardo impaziente a trovare un segno, un punto di riferimento che possa far dire: “ ecco: è qui“. Non era tornato a Valcona per troppo tempo e il paese è molto cambiato. Eppure molte case sono rimaste uguali, di pietra grigia con staccionate di legno e scale di ciappe, ma nessun pollaio, nessuna stalla, solo un cane elegante, da seconda casa.
Il dott. Martini si occupava dell’Ospedale di Valcona. Lì c’erano i partigiani feriti, i partigiani di Bonfante e Cascione. Lì c’erano gli eroi di Upega e Fontane.
I ricordi si mescolano e si sgranano nell’aria sottile di un pomeriggio di mezza estate, il cielo è di un azzurro rarefatto, impalpabile. Papà cammina sul sentiero e con la mano accarezza i sassi di un muro. Non racconta, non dice. Gli occhi si perdono su mondi lontani ma tanto presenti da sentirne ancora il dolore, la forza, la passione. La paura. Lì è il luogo.
Rimaniamo appena più indietro. Lui si muove con attenzione, intento a non calpestare un giardinetto di piante grasse e un cespuglio di lavanda fiorita.
Poche parole e il racconto ci porta la voce e il viso del dottor Martini, ci appare un giovane che di cognome faceva Siri che aveva vent’anni e arrivava, come lui, da San Lazzaro e voleva diventare medico, ecco un ragazzo delirante di febbre, un padre che si arrampica ad abbracciare un figlio per un ultima volta. I ricordi si sgranano e si trasformano in parole: poche, essenziali. Erano dovuti scappare dal Forte Pozzanghi, il Forte che guarda il suo gemello, il Richermo. Ricorda lo sparo tedesco che aveva colpito il cappello di un compagno nel momento che, facendosi la barba, aveva fatto brillare un coccio di specchio. Ricorda la corsa a prendere scarponi e fucile e poi via, su verso Piaggia e Valcona. Ricorda…….un fiume di pensieri attraversano le rughe della fronte e brillano negli occhi con unsorriso e forse una lacrima.”
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