“Un’accusa articolata quanto inficiata da alcuni equivoci di fondo nella comprensione di negozi intercorsi equivoci che si dileguano alla mera attente interpretazione della volontà contrattuale delle parti cristallizzata nei contratti. L’errore più evidente che si trasfonde anche nell’imputazione di truffa è l’assunto che la società mista e l’imprenditore privato individuato quale finanziatore e realizzatore avessero stabilito un corrispettivo in termini monetari della prestazione dell’opera, che lo stesso vincolasse per conseguenza la determinazione della porzione in natura delle opere future da cedersi in godimento o in proprietà temporanea, che lo stesso corrispettivo dovesse in qualche modo collegarsi o determinarsi in funzione diretta e vincolata ai costi di esecuzione a carico dell’esecutore dei lavori.
Talvolta, poi, nell’imputazione il valore dell’opera viene confuso con il corrispettivo dell’esecuzione dell’opera e ancora con il costo della stessa. L’operazione volta alla costruzione del porto non prevedeva le prestazioni tipiche del contratto di appalto, ove il corrispettivo è fissato in termini di prestazione pecuniaria ed è correlato all’avanzamento dei lavori ma era costituito dalle prestazioni connaturate ad un contratto di consegna di un’opera chiavi in mano interamente a costo della costruttrice, remunerata con la cessione di una cospicua porzione dell’opera. Si trattò di un contratto atipico ispirato a quello comunemente detto permuta immobiliare”.
Sono queste le principali motivazioni rese note questo pomeriggio con il deposito della sentenza che hanno portato all’assoluzione dell’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone e di altri otto imputati di truffa aggravata ai danni dello Stato nell’ambito della costruzione del porto turistico di Imperia.
In merito alla natura giuridica della società Porto di Imperia Spa, pubblica o privata? Il collegio scrive: “il consiglio comunale di Imperia rinunciò al controllo di indirizzo della società recedendo dai patti parasociali e rinunciando al diritto di opzione. La società si trovò composta quindi a seguito di un aumento di capitale e all’ingresso di Aquamare, dalla stessa Aquamare, dal comune di Imperia e dall’Imperia Sviluppo senza però alcuna prerogativa di controllo convenzionalmente attribuita all’Ente pubblico“.
Sulla mancata gara pubblica i giudici dicono: “Nella fattispecie tuttavia, pur trattandosi di società con partecipazione del comune, la società non doveva sottostare a procedure di evidenza pubblica stabilite da norme nazionali o di derivazione comunitaria selettive nel nuovo socio della Porto di Imperia in quanto in quale non era individuata quale affidataria diretta di un servizio pubblico”.
Chiarificatore in merito all’assoluzione dell’accusa di truffa il seguente passaggio della sentenza: “L’operazione si svolse entro il limiti della cornice normativa e fu frutto di una scelta politica dell’amministrazione locale, quella di ricoprire un ruolo di minoranza della società imprenditrice non investendo denaro nell’operazione quando la stessa si concretizzò, e di una scelta operata nell’esercizio della discrezionalità amministrativa che coinvolse più soggetti pubblici interessati dal procedimento, quella di rilasciare la concezione demaniale marittima per la costruzione e realizzazione del porto all’imprenditrice Porto di Imperia Spa”.
Secondo i giudici non vi fu condotta truffaldina e non vi fu alcuna induzione in errore in quanto: “l’amministrazione comunale era a conoscenza delle linee determinanti dell’operazione economica, ossia del finanziamento privato della costruzione del porto e della modalità di determinazione in percentuale secca di diritti sull’opera da cedersi come corrispettivo alla costruttrice”.
Non vi fu appalto ma un contratto di affidamento atipico per via” della mancanza di risorse economiche pubbliche o private imperiesi a finanziamento dell’opera o a remunerazione della stessa, lasciando che il costruttore si remunerasse con la commercializzazione dei diritti ottenuti”.
Per quanto concerne la permuta 70-30 si legge nel dispositivo: “resterebbe nel campo del commercialmente inopportuno non certo dell’illegittimo o peggio del penalmente rilevante una volta chiarito che l’opera stessa è assentita dall’amministrazione e viene goduta in proprietà sperata e che della stessa la concessionaria può disporre a titolo privato”.
Infine per quanto concerne la contabilità e lo stato di avanzamento lavori i giudici scrivono che in merito agli accordi tra le parti: “al di là di un atteggiamento fortemente impositivo degli esponenti del gruppo Acqua Pia Antica Marcia non sono emerse condotto fraudolente di approffittamento a danno delle altre parti“. “Dagli elementi di prova citati dall’accusa emerge come questi censurino la negligenza del socio pubblico nella trattativa che si concluse nel 2010 in particolare la mancanza di direttive del socio pubblico ai suoi esponenti nel cda. Se tale era il modo di determinazione di corrispettivo perde totalmente importanza tutta l’annosa questione della mancanza di trasparenza nella tenuta della contabilità da parte della costruttrice”.
In merito al contestato “raggiro” della Commissione di Vigilanza e Collaudo da parte dell’Acquamare con una contabilità “fasulla” che avrebbe portato ingiusti profitti alla società romana, i giudici addirittura ribaltano il quadro. In riferimento all’ingiusto profitto scrivono: “semmai fu più ampiamente consentito dal rilascio da parte della Commissione dell’assenso all’autorizzazione all’agibilità parziale del porto che permise, infatti, a sua volta, la stipula dei contratti definitivi e di cessione con i prenotatari dei posti barca e un netto incremento del profitto commerciale che si assume truffaldino“.
In conclusione i giudici non escludono reati di natura finanziaria in quanto scrivono che: “la mistificazione dei costi quando quegli effettivi sostenuti dalla costruttrice fossero stati assai inferiori a quelli rappresentati, potrebbe avere invero rilievo illecito di altro tipo dal mero inadempimento contrattuale alle più gravi violazioni dei principi di registrazioni a bilancio, connesse ad appropriazioni indebite ed evasioni fiscali”.
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Sentenza processo Porto di Imperia 1