IMPERIA. La redazione di Imperiapost, dopo gli eventi delle ultime settimane e le forti reazioni, ha deciso di chiedere un parere ad Alessia Dulbecco, pedagogista e counsellor, ha lavorato come educatrice e formatrice in centri antiviolenza ed Enti di formazione professionale.
Tra i suoi interessi di ricerca: gli studi di genere e le attività di counselling per il benessere del singolo e delle organizzazioni.
“Da una settimana a questa parte Imperia si trova al centro di un forte interesse mediatico a causa dell’arresto di un noto ginecologo.
Il ginecologo è stato arrestato lo scorso 25 febbraio con l’accusa di violenza sessuale aggravata in seguito alla denuncia di due donne, di cui una minorenne. In seguito a questi fatti altre tre donne (due trentenni e una quattordicenne) si sono recate in Caserma per essere ascoltate in qualità di testimoni. Le tre donne hanno raccontato la loro storia descrivendo gli abusi subiti.
Nei confronti del ginecologo è scattata subito la solidarietà da parte di tantissime donne e famiglie che hanno espresso il proprio personale punto di vista sulla faccenda attraverso la creazione di un gruppo su facebook e mediante alcune mail indirizzate ai giornali locali e ai legali del medico. Nel corso di queste ultime ore molte donne, spesso accompagnate da fidanzati e mariti, hanno deciso di scendere in piazza: si sono trovate in Piazza della Vittoria per manifestare pubblicamente la loro stima nei confronti del ginecologo e si sono recate successivamente in Caserma con l’intento di fare una deposizione in suo favore.
In merito alla vicenda mi piacerebbe esprimere un punto di vista legato alla mia professionalità e ai miei studi: sono una pedagogista, lavoro da diversi anni sulle tematiche di genere e ho prestato servizio come operatrice presso alcuni centri antiviolenza in Liguria.
Di fronte ad una faccenda seria e complessa come un’accusa di violenza sessuale aggravata, commessa in particolare da una persona di rilievo livello pubblico e sociale, è sicuramente comprensibile il gesto delle tante donne che hanno deciso di manifestare la propria solidarietà battendosi per ricordare la professionalità, la pacatezza, l’educazione che caratterizzano il dottore.
E’ importante però che questi gesti non screditino le donne che hanno deciso di esporsi – per giunta in una realtà piccola come quella imperiese – denunciando i fatti subiti.
Molte delle donne scese in piazza ritengono che le denuncianti potrebbero aver frainteso, per ignoranza o per un’incomprensione, qualche gesto del dottore (che sicuramente svolge una professione molto delicata) e per questo possono aver deciso di denunciare fatti che in realtà non sono avvenuti ma rientrano nelle normali procedure di una visita ginecologica.
Su questa possibile giustificazione nutro alcuni dubbi: l’indagine Istat del 2006 sulla violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia (qui il link per poter leggere per intero il report: http://www.istat.it/it/archivio/34552) dimostra che le donne percepiscono come meno grave una violenza subita da un non partner. È raro quindi che una donna decida di denunciare un fatto se non ha neppure chiara la percezione che ciò che ha subito possa avere una valenza penale. I dati riportati dallo studio Istat, invece, spiegano perché molte vittime decidono di denunciare in seguito ad una prima denuncia avanzata da un’altra persona. Avendo una percezione sbagliata circa la gravità dei fatti subiti si trovano spesso a prenderne consapevolezza una volta avviate le indagini, confrontando la propria vicenda con le notizie reperite attraverso fonti pubbliche.
Per esperienza posso affermare che nella quasi totalità dei casi le vittime che si recano in un centro antiviolenza raccontano con grande fatica gli episodi subiti ed uno delle operazioni più difficili consiste nel fornire il giusto supporto psicologico, educativo e sociale affinché decidano di denunciare . I principali motivi che portano le vittime a preferire il silenzio sono legati alla paura di esporsi alla pubblica piazza e alla paura di non essere credute.
Mi piacerebbe pertanto che i gesti di solidarietà – legittimi e comprensibili – nei confronti di uno stimato professionista accusato di un reato gravissimo non andassero ad intaccare la percezione del fatto che una vittima rimane vittima fino a prova contraria e che la sua posizione è degna di ascolto e rispetto alla pari di quelle che propongono una visione alternativa del presunto colpevole.
Per concludere, da donna, mi piacerebbe vedere un po’ di solidarietà anche nei confronti delle cinque ragazze coinvolte nella vicenda. Spesso sono proprio le donne a compiere le critiche più feroci e spietate nei confronti delle proprie simili. Su questo credo che una riflessione condivisa sia quanto meno auspicabile: perché di fronte ad un reato odioso come una violenza sessuale è più facile pensare che una donna “se la sia cercata” o “abbia denunciato il falso”? Quali meccanismi psicologici quali stereotipi sociali attiviamo quando inconsciamente riteniamo che la denuncia per violenza riferita da una donna valga un po’ meno di qualsiasi altro tipo di denuncia fatta giungere alle Forze dell’ordine?
Sarebbe bello se invece attorno alla vicenda ci fosse un doveroso rispetto per tutte le persone coinvolte, nell’attesa la magistratura svolga le proprie indagini facendo luce su questo tragico episodio.“
Alessia Dulbecco.
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