24 Novembre 2024 06:58

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24 Novembre 2024 06:58

Dopo un anno in Antartide, torna a Imperia il medico Alberto Razeto. “Esperienza estrema, ma splendida. La notte perenne regala emozioni indimenticabili”/L’intervista

In breve: Razeto ha vissuto un anno alla base italo francese Concordia, al polo Sud, nell'ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide e del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Una notte lunga mesi, temperature estreme, isolamento totale. Sono queste solo alcune delle caratteristiche che descrivono l’esperienza del medico imperiese Alberto Razeto, durante la 33esima spedizione “ItaliAntartide”.

Razeto ha vissuto un anno alla base italo francese Concordia, al polo Sud, nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide e del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

La missione antartica dell’imperiese Alberto Razeto

Partito per l’Antartide nel novembre 2017, Razeto è rientrato a casa a fine dicembre 2018. Dopo un anno passato a svolgere il ruolo di medico della base, tenendo sotto controllo la salute dei partecipanti e intervenendo in caso di necessità dal primo soccorso alle operazioni chirurgiche, è arrivato il momento di redigere un “bilancio” di questa esperienza così particolare.

Base Concordia in Antartide: l’esperienza di Alberto Razeto

Com’è stato tornare dopo 1 anno di isolamento?

“È stato impattante, quasi uno shock. Il rientro alla vita “normale” non è facile, perché, dopo un anno in mezzo ai ghiacci, dove non c’è rumore, non ci sono altre persone oltre a quelle del gruppo, né animali né alberi, è difficile riabituarsi alla realtà caotica di tutti i giorni e ai suoi ritmi”.

Com’è la giornata tipo del medico della base Concordia?

“Le giornate cambiano di volta in volta, a seconda di cosa c’è da fare, del clima, della salute degli altri membri. Bisogna adattarsi ai ritmi del gruppo. Mi sono occupato anche di prevenzione e di lezioni riguardanti vari argomenti medici. 

Oltre alla mia mansione professionale, mi sono anche proposto di pulire i bagni 3 volte a settimana”.

È stato difficile rapportarsi con gli altri membri dell’equipaggio?

“Dipende dal periodo dell’anno. In estate ci sono state più di 100 persone, mentre in inverno eravamo in 13. Quello è stato il momento migliore. Il gruppo si è stretto molto e sono nate amicizie che saranno sicuramente durature. È stato molto soddisfacente”.

Momenti critici?

“Momenti particolarmente critici non ce ne sono stati. Questo soprattutto grazie al rispetto delle norme di sicurezza. In Antartide, da metà febbraio a ottobre non può arrivare nessun mezzo aereo, quindi eravamo isolati. Le regole andavano rispettate per forza. Ad esempio, quando si usciva in inverno bisognava essere almeno in due, portarsi la radio, coprirsi in maniera precisa. Bastano pochi secondi per ustionarsi sotto certe temperature. Io personalmente mi sono congelato una volta il naso, due volte le orecchie e innumerevoli volte le dita. Le questioni mediche sono state quasi sempre sotto controllo. Solo in un’occasione si è verificato il rischio di evacuare un paziente fuori dall’Antartide per un principio di appendicopatia, ma il caso è stato gestito bene e l’emergenza è rientrata.

A livello personale, ci sono state sicuramente delle giornate “no” in un anno interno, ma è prevalsa la meraviglia di vivere in un posto magico come l’Antartide. L’aspetto più duro della vita lì, oltre alle condizioni climatiche, è la difficoltà nel dormire. In Antartide si dorme al massimo dalle 3 alle 4 ore per notte. Ci sono studi su questo, probabilmente il motivo sta nella scarsità di ossigeno. Dormire poco fa saltare tutti i ritmi e rende il tempo molto relativo”.

Qual è stato il periodo più bello?

“Il più bello è stato il periodo invernale. La notte “perenne” regala emozioni che il giorno non regala. È ricca di sfumature. Indimenticabili le stelle, la luna, i paesaggi mozzafiato. È un mondo magico e fatato. La luce della via Lattea basta da sola a illuminare il cielo. Splendido anche il periodo di transizione, quando il sole comincia a calare. Ho visto tramonti incredibili, tutte le sfumature del rosa possibili, grazie alle condizioni di rarefazione dell’aria e al freddo”.

Oltre a tutto questo, ha partecipato anche a un progetto “extraterrestre”. Di cosa si tratta?

“Sì, mi è stato chiesto di partecipare al progetto per un modulo ospedaliero extraterrestre sulla Luna o su Marte. Ho dovuto fornire idee e indicazioni su come dovrebbe essere un modulo ospedaliero, dal lettino operatorio all’infermeria, dalle misure ai materiali, fino all’oggettistica e all’equipaggiamento. L’Antartide offre questo genere di riflessioni, specialmente la base Concordia, per le condizioni di isolamento che offre, la scarsa quantità di ossigeno, la pericolosità dell’ambiente”.

Ha anche affisso un cartello che indica “Civezza”, come mai?

“Lì è tradizione che gli ospiti della base abbiano la possibilità di appendere un cartello che indichi la propria città. Ci sono dei pali appositi. L’unica condizione è che te lo devi costruire da solo a mano, con materiali di scarto. 

Così ho preso un pezzo di legno, l’ho modellato, decorato, e ho scritto sopra “Civezza”. Io in realtà sono di Genova, ma c’era già il cartello con questa città, così ho pensato a Civezza, luogo dove abito da anni”.

Insomma, il bilancio è positivo.

“Estremamente positivo. È stata un’esperienza eccezionale e, infatti, tra 3 anni ho intenzione di tornare per svolgere la stessa mansione sempre alla base Concordia. Colgo l’occasione per ringraziare l’Asl per avermi concesso questa possibilità, un segno di grande lungimiranza”.

Gaia Ammirati

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