25 Dicembre 2024 05:55

25 Dicembre 2024 05:55

Un’imperiese in Palestina: “Arabs prohibited, this is apartheid”. Nuovo report di Susanna Bernoldi. “Negati diritti fondamentali, escalation di violenze” / Le immagini

In breve: Per far conoscere quella realtà anche a chi non si trova sul posto, Susanna ha deciso di continuare a redigere report in cui racconta tutto ciò che vive sulla propria pelle.

È tornata in Palestina la 65enne imperiese, Susanna Bernoldi, coordinatrice AIFO e volontaria ISM. Ancora una volta, quindi, la donna si fa testimone dei drammi del popolo palestinese.

Per far conoscere quella realtà anche a chi non si trova sul posto, Susanna ha deciso di continuare a redigere report in cui racconta tutto ciò che vive sulla propria pelle.

Per i report dell’ultima esperienza:

Un’imperiese in Palestina: ecco il nuovo report di Susanna Bernoldi

La violenza cresce, è quotidiana. E domani?
Se oggi Netanyahu vincerà e dovrà chiaramente mantenere la promessa fatta ai suoi sostenitori più razzisti e violenti e procederà all’annessione della Cisgiordania, quanto potrà ancora peggiorare la vita del popolo palestinese? Spaventa il sostegno dichiarato di Trump che ha già, fuori dal rispetto delle leggi internazionali, riconosciuto Gerusalemme capitale di Israele e l’annessione delle alture Siriane del Golan … Non capisco più chi dei due insegni all’altro il menefreghismo di ogni legge.

Nuovamente in Palestina

Finalmente ancora in Palestina! e dopo una notte di pace dalle Clarisse a Gerusalemme e un saluto alla mia amica Shireen nel villaggio di Hussan sopra Betlemme (la attende una nuova raccolta delle olive con il solito fondato rischio di incursioni violente da parte dei coloni), sono arrivata ad Al Khalil, antica e sacra e vivacissima città del Sud, tristemente Area C, cioè totalmente sotto il controllo israeliano. Esattamente come accade in Area A e B dove invece dovrebbe prevalere la presenza palestinese.

Prima sorpresa: noi volontari non siamo più in quell’appartamentino un po’ improvvisato, ma vicinissimo al Suq, al Centro storico, a Shuhada Street, la Via fantasma, ma in un nuovo appartamento più comodo e vero. Ogni giorno grandi camminate con grandi salite, ma sono felice per queste passeggiate forzate che compensano le ore al pc. Per ora, i miei nuovi amici con i quali opererò vengono da Inghilterra, Nuova Zelanda e Cina tre su quattro vegetariani.

E’ fantastico come, pur diversissimi per provenienza, età ed esperienze, condividiamo spazi e momenti in serenità, come ci conoscessimo da sempre! Accade quando si è uniti da un grande ideale comune, dalla sete di giustizia per un popolo che lotta contro una inaudita violenza che si perpetra da 70 anni in una indifferenza del mondo che è assordante!

Per fortuna operiamo ancora in stretta collaborazione con il CPT (Christian Peacekeeper Team) e l’EPPI (Ecumenical Accompaniment Programme in Palestine and Israel), anche loro osservatori volontari che in modo nonviolento cercano di tenere basso il livello di violenza ed essere comunque testimoni.

Scrivo “per fortuna”, perché purtroppo, a gennaio 2019, Netanyahu, che già anni fa aveva dichiarato pubblicamente che Israele può criticare il mondo, ma non viceversa… non ha rinnovato il permesso al TIPH (Temporary International Presence in Hebron). Ha letteralmente espulso questa forza di pace formata da osservatori norvegesi, svedesi, italiani e turchi, stabilita nel 1997 dall’ONU con il consenso di entrambi i governi palestinese e israeliano dopo il massacro compiuto dall’ebreo ortodosso Baruch Goldstein, nel 1994, nella moschea di Ibrahim nel cuore di Hebron. Ricordate? Costui, che è diventato per i coloni un eroe, sparò all’impazzata sui palestinesi prostrati in preghiera. Ne uccise 29 e ne ferì più di un centinaio. E tutt’ora i coloni, protetti ovunque dai soldati, circolano tranquillamente per le strade con gli M16, così come noi portiamo la borsa della spesa.

Anche io, come molti, sinceramente pensavo che il lavoro del TIPH fosse poco utile in quanto i loro reports erano inviati solo ai loro governi e a quello israeliano e quindi non venivano diffusi e invece il dossier elaborato per i 20 anni della loro attività, è arrivato alla stampa! Si afferma che:

“Israele è colpevole di violare sistematicamente e in maniera grave il diritto di non discriminazione e l’obbligo di proteggere la popolazione che vive sotto occupazione dal rischio di deportazione.
L’insediamento israeliano nella città di Hebron è una violazione del Diritto Internazionale e i coloni estremisti rendono la vita dei Palestinesi molto difficile nella parte della città controllata da Israele, nota come H2.”

Il dossier si basa su più di 40.000 “incidenti” registrati dagli osservatori del TIPH. L’espulsione unilaterale è illegale, ma nessun paese, nemmeno l’Unione Europea ha reagito.

Quanto sono vere le parole di Martin Luther King: “Non ho paura delle urla dei violenti, ma del silenzio degli onesti”. Proprio per spezzare questo silenzio giungono in Palestina come osservatori e volontari centinaia di persone da tutto il mondo! Se la stampa informasse su tutti gli omicidi compiuti dai soldati, le torture, la distruzione di migliaia di ulivi, di case, gli arresti anche di bambini di 9, anche di 5 anni! Forse si capirebbe sia qualche gesto disperato, sia chi veramente perpetra il terrore.

Informazione silente

Proprio per lottare contro l’informazione silente o che inganna è nata Breaking the Silence, l’organizzazione di ex soldati israeliani che operarono a Hebron nella seconda Intifada (2000) che hanno deciso di raccontare che cosa fecero. Racconti che fanno rabbrividire e capire il perché dei tanti suicidi tra i giovanissimi soldati.
Ho un fascicolo di loro testimonianze per chi lo vorrà leggere o può andare sul loro sito: www.breaking the silence.org.il.

Israele dovrebbe amministrare la Palestina occupata secondo le regole stabilite nei regolamenti dell’Aia (artt. 42-56 del 1907) e nella IV Convenzione di Ginevra (artt. 27-34 e 47.78): cioè proteggere popolo e terra in ogni modo e favorirne lo sviluppo! Atroce barzelletta. E la reazione di un popolo occupato brutalmente da 70 anni dovrebbe chiamarsi resistenza, non terrorismo! Ma chi ha in mano i media facilmente manipola. E’ un’arte anche questa.

Sono arrivata ad Al Khalil il 14 e nel pomeriggio siamo andati nel centro storico a monitorare il tour dei coloni accompagnati a conoscere luoghi che testimoniano le origini ebraiche. Vi è una triste manipolazione della storia e della realtà archeologica. Da decenni gli Israeliani cercano disperatamente, con continui scavi, di giustificare il loro ritorno, il loro insediamento in Palestina a scapito della popolazione che da generazioni vive in questi luoghi. Per questo molti archeologi israeliani confutano questo testardo tentativo di dare una giustificazione alla pulizia etnica del popolo palestinese. Per chi fosse interessato a conoscere e approfondire, allego il file con i nomi di questi archeologi e docenti universitari di Tel Aviv e Gerusalemme con i nomi delle loro opere e, in breve, le loro affermazioni.
Vi ho scritto questo, perché in nome di queste ricerche sono stati cacciate dalle loro case, dove abitavano da generazioni, tantissime famiglie palestinesi.

Demolizioni

Le demolizioni sono aumentate e ora sono continue su tutto il territorio. Ieri siamo andati nel bello ed elegante villaggio di Beit Khalel, nei dintorni di Hebron, con il responsabile dell’Ass. Palestinese Hebron Defence Committee per dare solidarietà ai parenti delle 17 persone arrestate nel cuore di tre notti perché incolpate dell’uccisione di un soldato israeliano. Non vi sono prove, ma i soldati hanno fatto varie irruzioni secondo la prassi: nel cuore della notte, con estrema violenza, terrorizzando i bambini delle varie famiglie, urlando e umiliando anche gli anziani e le donne. I bambini hanno ricominciato a bagnare il letto la notte, hanno incubi e la continua paura che i soldati ritornino. La madre di due fratelli entrambi arrestati, ma in due notti successive, la seconda notte ha avuto un infarto ed è rimasta sotto shock. Ora non ricorda più nulla, è in condizioni gravi. Testimoni affermano di aver visto l’assassino uscire da un’auto, ma hanno arrestato 17 persone, tra queste entrambi i genitori di due gemelli e una bambina affidati al nonno (la nonna è quella sotto shock).

Tutte le persone sequestrate sono state portate nelle prigioni israeliane di Ofer e Ashkelon e devono ancora avere il processo, ma le famiglie hanno ricevuto l’ordine di demolizione delle loro case! Anche la punizione collettiva è azione proibita, ma non per Israele.

Provate a rileggere questa frase e a pensare che cosa significa: sei accusato di un delitto, ma è tutto da provare e anzi, si sa che le prove sarà difficile averle se non con confessioni rubate con la tortura e la tua casa viene distrutta, tutto senza neanche essere comparso davanti a un giudice.
Democrazia israeliana.

Ieri, 16 settembre, la municipalità di Gerusalemme ha iniziato a demolire il villaggio di Al Walja distruggendo la casa e una stalla di Fayez Abed e una bella strada (foto). Le ragioni? Solo quelle di un occupante che vuole eliminare ogni ostacolo alla sua fame esagerata di conquista: Al Walaja è circondata dal muro, è tra Gerusalemme e Betlemme, è un ostacolo alla costruzione di un tunnel tra le due importanti città… Provo a mettermi nei panni degli abitanti del villaggio e provo solo disperazione.

Questa notte saremo io e Edmond ad Um Al Kher perché mercoledì all’alba sono previste demolizioni. Chi ha letto i report precedenti ricorda questa famiglia di Beduini già cacciati dal Nord con la Nakba, la catastrofe. La prepotenza continua e, sempre per far posto ad altri russi, americani, australiani, etiopi, olandesi ai quali Israele paga viaggio, dà la casa, un lavoro, esenzione dalle tasse…, ecc. per occupare, occupare la terra degli altri… anche con la violenza. Ai coloni è permesso tutto.

Ma Israele pretende di essere l’unica democrazia del Medio Oriente e allora… vi ricordate il capolavoro di Orwell “1984”: basta distruggere tutti i documenti scomodi e voilà, i 750.000 palestinesi cacciati con la forza, i 400 villaggi rasi al suolo, i genocidi di interi villaggi (50-70-200 persone) non sono mai esistiti Lior Yavne, Direttore di “Akevot”, piccolo e combattivo istituto di ricerca che individua, digitalizza e cataloga varie forme di documentazione sul conflitto israelo-palestinese per aiutare i difensori dei diritti umani, ricercatori e docenti attraverso il libero accesso ai file negli archivi israeliani, ha denunciato che da anni gli uomini del Malmab, squadra della Difesa, stanno distruggendo i documenti declassificati che testimoniano la Nakba, per minare la credibilità delle ricerche storiche.

Yayne afferma che “Nell’archivio delle forze armate, il più grande di Israele, sono disponibili solo 50mila dei 12 milioni di documenti esistenti. E restano ancora inaccessibili gli archivi dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno”.

Il mio ciao è con la speranza di non essere svegliate domattina all’alba dai bulldozer israeliani a Um Al Khair e con varie immagini che terminano con quelle di due belle ed eleganti bimbe incontrate nel suq e di un nipotino di Shireen, perché sono i bimbi che incontriamo ovunque a darci la forza di credere che un altro futuro sia possibile.

MasaferYatta è un insieme di 20 villaggi a Sud di Hebron. L’11 settembre scorso, dalle 0:00 alle 4:00, i soldati israeliani hanno fatto irruzione in più villaggi. Senza dare alcuna giustificazione, hanno fatto irruzione nelle case, con il preciso scopo di terrorizzare, costringendo bambini e genitori addormentati fuori dalle loro case e perquisendo stanze, armadi e frigoriferi, nonché auto e pozzi, danneggiando effetti personali. I loro villaggi sono spesso utilizzati come campo di addestramento per nuove reclute.

A Mufakara, piccolo villaggio di circa 50 abitanti, hanno demolito 4 strutture, sfollato 2 famiglie tra cui una vedova con 6 bambine e un .maschietto. Ad una famiglia che viveva in una grotta, hanno distrutto il bagno in cemento. Ad un’altra hanno demolito la casa per 3 volte in 9 mesi. Hanno distrutto e sequestrato 6 km di tubature dell’acqua. Questo è o no terrorismo?

Aggiornamento

Ieri, alle 6 del mattino, al Check point QALANDIA (tra Gerusalemme e Betlemme), teatro di tante morti nel passato, è stata uccisa una donna che, prima ancora di passare dalla Border Police e dall’esercito israeliano, nell’andare verso il primo controllo della Sicurezza, pare avesse in mano un coltello da cucina e quindi gli uomini grandi, grossi e superarmati della Security le hanno sparato ad una gamba e lasciata morire dissanguata impedendo ai soccorsi di prestarle aiuto. Se sia vero che avesse intenzioni violente non si sa: più di una volta è stato filmato un soldato sparare e poi lanciare vicino al corpo del ragazzo un coltello. Ma poi, a che serve essere uomini di tale stazza se non sanno difendersi da una donna, immobilizzarla senza doverla uccidere? E’ come se, quando si trovano di fronte una persona palestinese, non trovassero nel loro cervello altro verbo che “uccidere, eliminare, fare piazza pulita”.

La mia tristezza e la mia rabbia sono cresciuti quando è giunta la notizia di, DUECENTOCINQUANTA ALBERI distrutti dall’esercito israeliano, sempre l’esercito dell’unica Democrazia del Medio Oriente, a Brouqin, villaggio nella regione di Salfeet, nel Nord della Palestina Le foto sono state scattate da attivisti che non hanno potuto far altro che documentare e che vi allego.

Oggi, durante la nostra presenza all’uscita degli alunni nei pressi della scuola di Saleymee, ho respirato il primo gas. Siccome i bambini, ad una distanza di 250 metri dal check point omonimo (uno dei tantissimi in Hebron) urlavano proteste, il soldatino ben addestrato ha dato l’unica risposta di cui è capace: ha lanciato tre bombe lacrimogene. Pensiamo ad una quotidianità di decenni con bombe sonore e lacrimogeni, con un occupante che se ne infischia di mostrare la sua arroganza, crudeltà, razzismo più bieco, perché è questo il problema: i giovani vengono cresciuti nell’odio, nella paura e nella convinzione che il popolo palestinese sia una sottospecie umana da eliminare.
Io e Suzan siamo andate a trovare il Direttore della scuola e quando gli ho ricordato l’attacco assurdamente violento dello scorso dicembre quando i soldati lanciarono, nel cortile della sua scuola, 21 tra bombe lacrimogene e sonore, ci ha mostrato lo scatolone con tutte le bombe lanciate nel cortile dai soldati nei primi sei mesi dell’anno.

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