Mauro Giampaoli, del comitato territoriale di Attac, interviene in merito alla recente vicenda di Sharon Micheletti. la ragazza di 30 anni uccisa a Ventimiglia. A spararle è stato Antonio Vicari, 65enne, nel pomeriggio del 13 giugno. Subito dopo l’omicidio si è tolto la vita.
Attac Italia nasce nel 2001 ed è parte della rete internazionale di Attac, una delle più grandi reti internazionali di opposizione e alternativa al neoliberismo costruita in questi anni dal movimento altermondialista. E’ presente in oltre 40 paesi in Europa, Africa, Asia ed America Latina.
“L’uccisione di una donna per mano di un uomo non è un raptus, ma un fenomeno endemico del patriarcato che da secoli permea la cultura”
Sottolinea Giampoli: “L’ennesimo femminicidio si è consumato qualche giorno fa a Ventimiglia, luogo natale del Corsaro Nero nella narrazione di Salgari, ma soprattutto terra di confine, non per questo meno avventurosa, per il passaggio dei corpi in cerca di un domani migliore e come altri territori, per i diritti umani spesso violati, per le disuguaglianze di genere. Sharon è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco dal suo ex compagno, nel quartiere che più di altri nell’estremo ponente ligure è attraversato dal fenomeno migratorio. L’uccisione di una donna per mano di un uomo, non è un ‘raptus’ ne un gesto dettato dalla disperazione, ma un fenomeno endemico del patriarcato che da secoli permea la nostra cultura, seguendo logiche di potere/possesso che mettono l’uomo ai vertici delle gerarchie della nostra società.
Che si tratti di un corpo, di un bene o di lavoro, la logica della proprietà o del profitto individuale, connaturati nella cultura imperante, sono il terreno che alimenta la competizione a scapito delle relazioni. La pandemia ha visto triplicare in questi mesi di lockdown e di crisi epidemiologica i femminicidi a livello nazionale, così come le donne sono il 98% dei casi di licenziamento nel Paese. Ciò a testimonianza che le condizioni di genere sono più di altre la ‘terra di confine’ della società, una società patriarcale e capitalistica che pone al centro la gerarchia di valore e riconoscimento, anche economico, della produzione e della ri-produzione. Una caratteristica specifica dell’oppressione delle donne e di altri gruppi ‘fragili’ nelle società di mercato.
“Per un nuovo modello di comunità, anteporre i bisogni altrui ai nostri, la cooperazione alla competizione, il ‘noi’ all’‘io’ del dominio”
Oggi più che mai, ad un sistema che tutto subordina all’economia del profitto, dobbiamo tutte e tutti contrapporre la costruzione di una società della cura. Accanto a un processo di liberazione femminile, occorre dare impulso ad una rivoluzione culturale e delle coscienze maschile, poiché la violenza contro le donne ci riguarda come un virus libero di agire in un corpo sociale. Prendendo in prestito le bellissime parole di Marie Moïse, attivista e dottoranda in filosofia politica dell’Università di Padova e Tolosa: “Quando la cura viene rivolta non più alla fonte di violenza o sfruttamento, ma verso le altre vite inquiete e in apprensione, la forza subalterna si accumula e l’asimmetria di potere inizia a vacillare”. “… Per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti… F. De André”.