24 Novembre 2024 15:40

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24 Novembre 2024 15:40

Segni a matita: la nuova rubrica dedicata ai libri. “De bello garden” di Francesco Scopelliti / Prima puntata

In breve: Un luogo dove poter esaudire il desiderio di avere "a disposizione" l'autore del libro appena letto e approfondire concetti contenuti nel testo.

Chi ama leggere si può dividere in due, grossolane, categorie: chi conserva il libro in maniera impeccabile, e mai e poi mai lo deturperebbe con delle scritte, e chi invece lo consuma, riempiendolo di sottolineature e appunti a margine (rigorosamente a matita, però, non esageriamo).

Io rientro nella seconda categoria e in quei segni a matita ci sono emozioni, dubbi, perplessità, sorprese che, se avessi di fronte l’autore del libro, si tradurrebbero in domande per capire meglio quella frase che mi ha colpito e che non voglio dimenticare.

Così nasce l’idea di questa rubrica. Un luogo dove poter esaudire il desiderio di avere “a disposizione” l’autore del libro appena letto e approfondire concetti contenuti nel testo.

La prima puntata è dedicata a “De bello garden. Pensieri fuori dal seminato”, il libro di Francesco Scopelliti, 40enne, scrittore, olivicoltore e giardiniere imperiese. Partendo da 4 passaggi del libro che ho sottolineato, ho posto a Scopelliti delle domande per capire meglio.

Il libro è disponibile nelle migliori librerie e nei principali siti di vendita online.

Segni a matita: la nuova rubrica dedicata ai libri. “De bello garden” di Francesco Scopelliti

Primitivi, vecchie signore borghesi, boomer o baroni rampanti. I giardini e gli orti di Scopelliti sono “popolati” da umani con pretese che si scontrano inevitabilmente con le regole della natura, che non si possono aggirare senza conseguenze.

Ma in questo viaggio tra gli orti, gli uliveti e i giardini, a bordo di un’Ape Piaggio un po’ arrancante, non si incontrano solo umani. I personaggi che offrono più spunti sono proprio loro, le rose, l’edera, il finto pepe. Non risponderanno mai alle nostre domande, ma ci lasceranno liberi di scegliere se provare a capirli oppure no. Se ostinarci a trovare un senso nella causalità (non confusa) della natura, e rischiare di autodistruggerci, oppure accettare che non ci sia, e preoccuparci di averne cura.

1. “La natura non è in trattativa con noi, non le importa del denaro e recide i legami con chi non sta alle sue regole” [p.43].

Perchè non riusciamo a trovare un equilibrio con la natura?

“Credo che la natura spesso venga antropomorfizzata e spiegata dal punto di vista umano. In realtà la natura non ha finalità se non di tipo evolutivo. Si sviluppa attraverso criteri diversi dai nostri, tra cui quello della casualità (che è diversa dalla confusione). Per questo non si può avere la pretesa di ottenere, con il denaro, che le cose in natura vadano per il verso desiderato da noi umani. A volte si fanno investimenti sulla natura che non ritornano.

L’aspetto peggiore di tutto questo è la distruzione che provochiamo. Nonostante tutto quello che facciamo, comunque, la terra non modifica assolutamente il suo modo di procedere, segue delle regole fuori dal nostro controllo. Il disastro ambientale è un nostro problema, riguarda la nostra possibile estinzione e quella di molti altri mammiferi, ma la natura andrà avanti con o senza di noi”.

2. “C’è quella forma di bellezza, quella del miglior giorno di marzo, con l’aria dolce e il mare che brilla, con le maniche corte” [p.48].

Qual è il tuo miglior giorno di marzo?

“Io vivo le stagioni in maniera intensa, dato il lavoro che faccio. Per questo amo in particolare i giorni di marzo e di ottobre, perchè non si capisce bene in che momento dell’anno si è, potrebbe stare per iniziare la primavera oppure l’inverno. Un po’ come l’alba e il tramonto, le cose appaiono più belle, ci sono i panorami migliori. Marzo è il momento in cui inizi a percepire la bellezza, la prima volta che indossi le maniche corte e ricominci a sentire quegli odori e profumi che l’inverno aveva sopito. Potrebbe iniziare qualcosa ma non sai che cosa”.

3. “Il finto pepe è un eroe impacciato, che resiste in città tra smog e immondizia e riesce a vivere con dignità perfino negli spazi angusti tra un palazzo e l’altro, costretto a gareggiare con i panni stesi per la sua dose di sole” [p.60]

Il finto pepe siamo un po’ tutti noi umani?

“Sì e no. Ho voluto considerare l’albero meno facile, meno imponente, meno maestoso. Di solito gli alberi trasmettono un senso di forza, si impongono tra le creature biologiche. Lui è quello che rappresenta in maniera più decostruita questo concetto di forza.

Il finto pepe non è un antieroe: è un eroe, ma un eroe brutto, è forte ma non lo sembra. Non riesce a fare nulla che sia in armonia con i canoni estetici. Si spettina, perde latte, un po’ come paragonare gli elefanti indiani, con il pelo a chiazze e strampalate, e gli elefanti africani, mastodontici.

È solare, non si butta già. Un po’ come i cani che scodinzolano sempre. È simpatico”.

4. “A volte ho l’impressione che procedere così lentamente sia l’unica possibilità di vivere davvero il lavoro” [p.66].

Sempre di più il lavoro assomiglia a un vortice, una giostra impazzita. Che cosa sbagliamo?

“Il mondo animale ha una velocità relativa. La giraffa ad esempio compie movimenti molto lenti, ha un ritmo cardiaco diverso dai topi e gli insetti. Questo vale anche per le tempistiche di una stella, diverse da quelle di un atomo. Lo sbaglio che facciamo noi umani, secondo me, è quello di accelerare rispetto al contesto naturale. Nell’era social, un uomo contemporaneo riceve in un solo giorno le informazioni che un uomo medievale riceveva in tutta una vita.

Si tratta di una conseguenza legata al capitalismo. In questo mondo perdiamo le sensazioni e i tempi della natura che si struttura in cicli infiniti.

Il nostro tempo sarebbe ancora quello delle scimmie, dei cacciatori-raccoglitori. In confronto ai tempi lunghissimi della nostra evoluzione, è pochissimo tempo che viviamo nella società che conosciamo oggi.

Conserviamo ancora retaggi derivanti dal nostro essere primati. Ad esempio, quando vediamo una persona vomitare ci viene da vomitare, perchè all’epoca questo riflesso era fondamentale per la sopravvivenza nel caso in cui un compagno si fosse avvelenato con del cibo. Nonostante questi antichi retaggi, abbiamo accelerato tantissimo l’industrializzazione, correndo il rischio di stravolgere il nostro equilibrio”.

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