L’attività investigativa condotta dalla Squadra Mobile, coordinata dalla Procura della Repubblica di Imperia, che ha permesso di interrompere i maltrattamenti ai danni di un anziano ottantenne da parte di due donne, la più anziana delle quali finita in carcere, dove è tuttora detenuta, ha consentito anche di ricostruire il “movente” della “presa in carico” della vittima da parte delle due indagate e portare alla luce ulteriori reati sempre connessi alla gestione dell’anziana vittima.
Imperia: anziano maltrattato da badanti, emergono nuovi retroscena
Innanzitutto si verificava che la “giovane”, che si presentava come nipote dell’anziano senza esserlo realmente, lo aveva convinto a trasferirsi nell’appartamento attiguo a quello assegnato alla madre ed in base ad un progetto fraudolento aveva preso la residenza presso l’abitazione del maltrattato in modo tale da poter vantare, dopo qualche tempo, un titolo preferenziale per l’assegnazione dell’immobile in suo favore alla morte dell’anziano; “assisterlo” altro non era se non lo strumento per giustificare l’illecita operazione.
Nel dettaglio, attestando falsamente di esserne la nipote, aveva richiesto la variazione di abitazione popolare dell’anziano, già assegnatario di alloggio di edilizia residenziale pubblica, ottenendone la collocazione, nello scorso mese di marzo, nell’appartamento adiacente all’unità abitativa di sua madre ed aveva, subito dopo, anche “preso la residenza” presso l’abitazione dell’anziano, sempre sostenendo di esserne la nipote.
Il motivo di tali “manovre” è apparso da subito chiaro agli investigatori: la Legge Regionale della Liguria in materia di assegnazione e gestione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, infatti, prevede che in caso di decesso dell’assegnatario subentrino nell’assegnazione – purché la convivenza risulti dimostrata anagraficamente al verificarsi dell’evento – il coniuge o il convivente di fatto dell’assegnatario e gli ascendenti di qualsiasi componente del nucleo assegnatario, ovvero anche i nipoti discendenti in linea retta dall’assegnatario, in alcuni casi, tra cui quello in cui abbiano risieduto anagraficamente nell’alloggio in modo continuativo nei quarantotto mesi che precedono la data del decesso dell’assegnatario per comprovata finalità di assistenza socio sanitaria.
Quindi, l’idea era quella di un’assistenza “a tempo determinato”, il tempo necessario a potersi “impossessare” del suo alloggio di edilizia popolare. Nel frattempo, intanto, si sarebbe potuto gestire la sua pensione ed altre “entrate” economiche (la più giovane delle indagate si occupava, infatti, di ogni pratica relativa all’anziano, ivi compresa quella volta a far ottenere l’indennità per l’accompagnamento), riducendo al minimo le “uscite”, se è vero che all’anziano venivano addirittura somministrati cibi scaduti.
Per tranquillizzare l’unico figlio rimasto in contatto telefonico col padre, gli veniva riferito che l’anziano stava bene ma era diventato sordo e quindi non poteva sentirlo, pertanto avrebbe dovuto “accontentarsi” di un rapido saluto e di qualche filmato pre-registrato (magari in quei pochi momenti in cui l’uomo veniva lavato e messo a sedere) ed inoltrato via Whatsapp.
Ma l’indagine ha fatto emergere anche ulteriori illeciti. L’anziano, infatti, oltre che dalle badanti “aguzzine”, è risultato aver ricevuto assistenza anche da badanti “fantasmi”: potendo approfittare della gestione esclusiva dell’anziano, la più giovane indagata ha assunto fittiziamente, nel periodo estivo, una badante straniera, che grazie al (falso) contratto di lavoro ha potuto chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto.
Addirittura, per far si che in caso di controlli la giovane straniera potesse fornire una precisa ricostruzione dei luoghi e “mascherare” la fittizietà del contratto di lavoro, l’indagata l’aveva accompagnata a casa dell’anziano, istruendola anche sulle ulteriori circostanze da riferire nel caso in cui l’artificio fosse venuto alla luce. Peccato, però, che dell’anziano non si sia mai realmente occupata e che addirittura abbia dovuto pagarsi da sola i contributi previdenziali.
Sono in corso, sul punto, ulteriori indagini, finalizzate a verificare l’eventuale falsità anche di ulteriori contratti di lavoro stipulati (apparentemente) dall’anziana vittima con altri “badanti immaginari” che risultano assunti negli anni precedenti, oltre che a disvelare il “corrispettivo” a beneficio dell’indagata per la disponibilità a stipulare i falsi contratti di lavoro.