23 Dicembre 2024 20:04

23 Dicembre 2024 20:04

Coronavirus, Imperia: “La mia lotta al Covid”. La storia di Silvia, farmacista. “Amo il mio lavoro, per aiutare gli altri”/L’intervista

In breve: Silvia Damonte, 38 anni, farmacista, di Imperia, ci ha raccontato come ha vissuto l'emergenza Coronavirus.

Tra coloro che hanno combattuto il Covid in prima linea in questi mesi ci sono anche, oltre a medici, infermieri e volontari, i farmacisti, categoria troppo spesso dimenticata.

Silvia Damonte, 38 anni, farmacista, di Imperia, ci ha raccontato come ha vissuto l’emergenza. Spinta dal desidero di aiutare gli altri, guidata dallo spirito che l’ha accompagnata nei suoi studi, Silvia non si è arresa, neanche davanti alla necessità di lavorare con visiera e mascherina, in condizioni difficili, con il respiro affannato. Un impegno dispendioso, sotto il profilo fisico e psicologico, non sempre riconosciuto, come lei stessa ci ha confidato, con una punta di amarezza.

Silvia, ci racconti la sua esperienza.

“Come fosse passato un uragano. Settimane di caos, di preoccupazione e di precauzioni per tutelarci quando ancora tutti annaspavamo senza sapere quanto drammatica sarebbe stata la situazione. Abbiamo abbassato lo sguardo sfiniti da giornate che sapevano solo di alcool e di casi in aumento, c’è venuto il magone quando abbiamo saputo della morte di persone conosciute. Abbiamo insegnato a indossare la mascherina a centinaia di clienti.  Abbiamo consigliato creme per la dermatite da stress, colliri per gli occhi irritati, suggerito integratori per il sonno e per l’ansia. Abbiamo modificato il rapporto con la clientela mantenendoci a distanza e indicando da lontano il prodotto da acquistare, sempre muniti di visiera, mascherina e guanti. Ma adesso abbiamo voglia di ripartire, abbiamo voglia di tornare a fare i farmacisti.  E speriamo che questa ripartenza possa finalmente esserci e che si possa tornare a guardarci sorridere senza immaginarlo solo dall’espressione degli occhi”.

Com’è cambiato il suo lavoro in questi mesi?

“Abbiamo stravolto il nostro modo di lavorare. Abbiamo avuto un grosso impatto tra i non ospedalizzati. I mass media hanno diffuso per settimane il messaggio con cui invitavano le persone a non andare al Pronto Soccorso, ma a rivolgersi al medico. Purtroppo, però, non sono mancati i medici che non rispondevano ai pazienti e li mandavano da noi in farmacia. Ci sono arrivate persone con la febbre, con la tosse. Credo che il medico di base sia ancora un punto di riferimento importante e, sotto questo aspetto, penso che qualche mancanza ci sia stata. Troppo è stato demandato ai farmacisti.

Per fortuna il nostro titolare ci ha tutelati da subito, con le mascherine FFp2 che all’epoca erano introvabili. Poi sono arrivate le visiere, molto importanti per il nostro lavoro. Noi non rimaniamo fermi in postazione, tante volte dobbiamo spostarci e mantenere le distanze è complicato. E poi ancora i plexiglass a ogni postazione e i  guanti. Il tutto, però, ci tengo a precisarlo, a livello privato. A livello nazionale, come categoria, siamo stati poco tutelati. Basti pensare che alcuni colleghi sono venuti da noi per chiedere le visiere”.

Com’è lavorare con visiera e mascherina per tutto il giorno?

“E’ pesante. Con la visiera e la mascherina viene mal di testa. Si respira un’aria non sana. In più noi parliamo in continuazione, su turni di 8 ore. Normalmente ogni 30 minuti cerco di uscire per prendere un pò d’aria”.

I clienti come hanno reagito?

“In un primo momento c’era grande menefreghismo. Si pensava che fosse una semplice influenza, poi è subentrata tanta preoccupazione. La nostra presenza è stata data forse troppo per scontata. Nel pieno dell’emergenza abbiamo smesso di fare analisi, pressione e colesterolo ad esempio. Era impossibile mantenere le distanze. In molti non hanno capito e si sono lamentati. La farmacia è stata spesso considerata come un liberi tutti. C’era chi veniva 10 volte per le mascherine o per uno shampoo. La farmacia era diventata per tutti una scusa per uscire. Non era vietato e molti se ne sono approfittati.

Vi siete sentiti abbandonati come categoria?

“L’impressione, per lo meno dal mio punto di vista è stata questa. Ad esempio, sono state introdotte delle novità, come la ricetta dematerializzata, in un momento storico a mio avviso inadeguato. Doveva esserci un passaggio graduale tra quella cartacea e quella elettronica. Per via dell’emergenza Covid il processo è stato velocizzato. In pratica il medico, invece di darti la ricetta a mano, come un tempo, te la spedisce via telefono, con un codice. Nessuno ha pensato alla condizione dei farmacisti. Ci siamo trovati costretti a prendere in mano i telefoni dei clienti ogni giorno. In un momento in cui i cellulari venivano da tutti considerati tra i maggiori veicoli di trasmissione del virus

Sono arrivati da pagare sia l’Enpaf che l’ordine dei farmacisti. Non c’è stata nessuna agevolazione”.

Come avete gestito la questione mascherine?

“Le mascherine sono state un grosso problema, soprattutto per quel che concerne quella della Protezione Civile. Abbiamo saputo dai giornali delle mascherine gratis nelle farmacie. Non ci era arrivata alcuna comunicazione. Ci sono arrivate da un giorno all’altro 3 mila mascherine. Abbiamo dovuto scaricare un sistema apposito per l’inserimento dei dati degli utbenti e in un giorno e mezzo le abbiamo esaurite. Il peso della distribuzione è finito sulle spalle dei farmacisti, già molto provati per il carico di lavoro, considerando anche il fatto che, per evitare assembramenti, il personale ha lavorato in forma ridotta”.

Cosa le resta di questa esperienza?

“Il mio lavoro è bellissimo. Devo dire, però, con amarezza, che sono molto dispiaciuta dalle accuse mosse alla nostra categoria negli ultimi mesi. C’è chi ci ha dato dei ladri, degli approfittatori, ch’è chi ci ha accusato di speculare sulla malattia.

Io ho sempre pensato di fare un lavoro per aiutare gli altri. E vedere che tutta la fatica di questi mesi non veniva riconosciuta mi ha davvero fatto rimanere male. Per fortuna oggi, con la mente più lucida, con meno paura, qualcuno inizia a rendersi conto che noi ci siamo sempre stati”.

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