Ancora un evento critico nelle carceri liguri, ancora una tragedia sventata nella Casa circondariale di Imperia.
“Ieri sera un detenuto del carcere di via Giacomo Agnesi ha tentato di togliersi la vita, impiccandosi nel bagno della cella. Ma il provvidenziale e tempestivo intervento del poliziotto è stato decisivo per salvare la vita all’uomo”.
A dare la notizia è Vincenzo Tristaino, segretario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Il ristretto è di origini italiane, di circa trent’anni”, riferisce il sindacalista, il quale auspica che “l’Amministrazione penitenziaria riconosca un adeguato riconoscimento premiale per la professionalità e altruismo dimostrata dai poliziotti intervenuti”.
L’episodio è solo l’ultimo di una triste serie
Il SAPPE ricorda che lo scorso settembre, proprio nella struttura di via Agnesi, un detenuto si era tolto la vita, mentre a novembre sempre gli uomini della Polizia Penitenziaria aveva salvato la vita ad un altro uomo ristretto che aveva tentato il suicidio tra le sbarre.
Tristaino torna a denunciare che “purtroppo la situazione degli Istituti penitenziari liguri è al collasso: da anni non vi sono progetti rieducativi veri ed efficaci, affinché si possa dare una vera possibilità a chi entra in carcere. Ed avere chiuso, nel passato, il Provveditorato regionale di Genova per accorpare tutto a Torino è stato un vero problema, perché per il Piemonte la Liguria è solamente la loro valvola di sfogo, dove mandare i detenuti che creano problemi. Siamo diventati la discarica del Piemonte ed allora speriamo davvero, come sembra, che la Liguria torni ad avere a Genova il suo Provveditorato regionale penitenziario, autonomo e indipendente”.
Il sindacalista rimarca infine che “da tempo chiediamo interventi risolutivi all’Amministrazione Penitenziaria a livello locale e nazionale per quanto concerne i lavori di adeguamento delle strutture detentive, incremento del personale di Polizia Penitenziaria, fondi per il pagamento dello straordinario e missioni ma soprattutto progetti e percorsi rieducativi con il coinvolgimento dei grandi Brand che possono investire in progetti lavorativi all’interno delle strutture Penitenziaria. Purtroppo, ad oggi dobbiamo constatare che le nostre richieste cadono nel vuoto”, conclude.
Donato Capece – Segretario generale del SAPPE
“Questo ulteriore tentato suicidio avvenuto commesso nel carcere di Imperia deve far riflettere sulla condizione in cui vivono i detenuti e su quella in cui è costretto ad operare il personale di Polizia Penitenziaria, bravissimo ad avere sventato una nuova tragedia nel carcere di via Agnesi”, commenta Donato Capece, segretario generale del SAPPE. “Questi drammatici eventi, oltre a costituire una sconfitta per lo Stato, segnano profondamente i nostri Agenti che devono intervenire”, prosegue. “Si tratta spesso di agenti giovani, lasciati da soli nelle sezioni detentive, per la mancanza di personale. Il suicidio rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Servirebbero anche più psicologi e psichiatri, vista l’alta presenza di malati con disagio psichiatrico. Spesso, anche i detenuti, nel corso della detenzione, ricevono notizie che riguardano situazioni personali che possono indurli a gesti estremi”.
Capece richiama il discorso di fine anno dal Capo dello Stato Sergio Mattarella e le sue indicazioni per superare l’emergenza penitenziaria: “È vero: sono inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale di Polizia penitenziaria, impegnato h 24 nelle sezioni detentive e i cui appartenenti sono sempre più vittime di aggressioni e atti violenti dalla parte minoritaria della popolazione detenuta più refrattaria a rispettare l’ordine e la sicurezza anche durante la carcerazione. Ma nei nostri istituti di pena, anche per minori, si può e si deve “potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine”. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo”.
La proposta operativa del SAPPE è “prevedere un sistema penitenziario basato su tre “gradini”: il primo, per i reati meno gravi con una condanna non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale l’istituto della “messa alla prova”; il secondo riguarda le pene superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare; il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”.
Quello del sovraffollamento, secondo il SAPPE, “è certamente un problema storico e comune a molti Paesi europei, che hanno risolto il problema in maniera diversa – sottolinea Capece – L’osservazione della tipologia dei detenuti e dei reati consente di affermare che il sistema della repressione penale colpisce prevalentemente la criminalità organizzata e le fasce deboli della popolazione. In effetti, il carcere è lo strumento che si usa per affrontare problemi che la società non è in grado di risolvere altrimenti“.
Il leader del SAPPE conclude evidenziando che “i peculiari compiti istituzionali del Corpo di Polizia Penitenziaria sono richiamati nel motto del nostro Stemma araldico:”Despondere spem munus nostrum” (garantire la speranza è il nostro compito), iscritto nella lista d’oro alla base dello stemma. Proprio garantire la speranza è un nostro dovere istituzionale, che le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio, nelle carceri per adulti e minori della Nazione, con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato”.