12 Marzo 2025 01:36

Abrogazione dell’abuso d’ufficio: colpo di scena in Cassazione. I giudici chiedono alla Corte Costituzionale il ripristino del reato / Il caso

In breve: La sentenza della Cassazione risale a pochi giorni fa. Ora sulla validità dell'abrogazione dell'abuso d'ufficio dovrà pronunciarsi la Corte Costituzionale

Colpo di scena nella dibattuta vicenda dell’abrogazione del reato di abuso d’ufficio. La Corte di Cassazione infatti ha ora rimesso tutto in gioco, contestando l’abrogazione e sollevando la questione di illegittimità costituzionale e sottoponendo il caso alla Corte Costituzionale.

La sentenza della Cassazione risale a pochi giorni fa. Ora sulla validità dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio dovrà pronunciarsi la Corte Costituzionale

La sentenza in questione, adottata dalla Sesta sezione penale della Corte di Cassazione, è stata decretata lo scorso 21 febbraio, ma depositata soltanto lo scorso 7 marzo. I giudici hanno sospeso il giudizio (riferito a un segretario comunale accusato di aver ingiustamente sancito la decadenza dalla carica di un consigliere comunale) in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, che potrebbe annullare l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio.

Scrivono i giudici di Cassazione: “L’art. 1, comma 1, lett. b), della legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare), entrato in vigore il 25 agosto 2024, ha abrogato l’art. 323 cod. pen. e, dunque, il reato di abuso di ufficio. Il Collegio dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale di tale disposizione, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 1, 7, quarto comma, 19 e 65, primo comma, della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU a Merida il 31 ottobre 2003, con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003 e ratificata con legge 3 agosto 2009, n. 116″.

Al centro delle perplessità della Cassazione il mancato rispetto della Convenzione internazionale Onu contro la corruzione

Sempre i giudici di Cassazione spiegano infatti che “l’art. 19 della Convenzione (di Merida ndr), rubricato «abuso d’ufficio», prevede che: «Ciascuno Stato Parte esamina l’adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando l’atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per se o per un’altra persona o entità». Questa disposizione delinea una nozione di abuso di ufficio omologa a quella prevista dall’abrogato art. 323 cod. pen. e sancisce che, se la penalizzazione delle condotte di «abuse of functions» realizza la «close conformity» con gli obiettivi di tutela della stessa convenzione, l’obbligo di considerare l’introduzione del reato di abuso di ufficio costituisce il livello minimale vincolante per ogni stato contraente”.

I giudici della Suprema Corte ricordano ancora che la Convenzione internazionale cui ha aderito anche l’Italia, obbliga gli Stati contraenti, nel processo di progressiva attuazione degli obiettivi di tutela perseguiti, a impegnarsi a preservare gli standard di tutela raggiunti e, dunque, dall’astenersi dall’adottare misure, legislative o amministrative, che comportino il regresso rispetto al livello di attuazione raggiunto nel perseguimento degli scopi della convenzione stessa”.

Da qui la decisione della Sesta sezione penale della Corte di Cassazione di sospendere il giudizio in atto e sollevare l’illegittimità costituzionale dell’abrogazione del reato di abuso d’ufficio di fronte ai giudici della Corte Costituzionale, che ora saranno quindi chiamati a pronunciarsi in merito e decidere quindi se tale abrogazione possa essere mantenuta o vada annullata.

Qui la sentenza della Corte di Cassazione

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